Billy Wilder?Il cinema

Giuditta Naselli. La notte degli Oscar di quest’anno ha avuto come protagonista assoluto il film muto The Artist, che ha vinto diverse statuette, tra cui quella di Miglior film. Il regista Michael Hazanavicius ha trionfato superando autori del calibro di Martin Scorsese, Terence Malick e Woody Allen e, dimostrando la sua commozione, ha dedicato un ringraziamento speciale al regista Billy Wilder.

Le parole di Hazanavicius hanno suscitato alcune domande. Mentre, infatti, coloro che non solo del mestiere si chiedono: “Chi è questo fantomatico Billy Wilder?”, chi si occupa di cinema si domanda già da tempo: “Chi era veramente Billy Wilder?”

Maestro di commedie esilaranti e autore di grandi drammi amari e corrosivi, il cinema di Wilder sfugge a qualsiasi sistematica critica per il complesso gioco di maschere insito in ogni film, dalle commedie brillanti ai malinconici drammi. Billy Wilder è uno di quei cineasti, vissuti nel fervore culturale della Berlino della fine degli anni ’20, che ha contribuito a costruire il classicismo hollywoodiano, traducendo nel cinema le stimmate dei grandi conflitti etici e spirituali che affondano le radici nella cultura tedesca.

Attratto dalle peculiarità che l’arte comica ha di rappresentare la trasgressione alle regole e di  intrecciarsi con il mondo delle pulsioni corporee, Wilder gira diverse commedie il cui comune denominatore diventa quel desiderio sessuale commisto al mondo del capitale tanto caro al maestro Ernst Lubitsch. È un’illusione, però, credere che l’umorismo della commedia wilderiana, sia pure travolgente come nei due film con Marilyn Monroe Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch, 1955) e A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot, 1959), non celi una profonda ambiguità. Nelle sue commedie, infatti da  Stalag 17 a L’appartamento (The Apartment, 1960) i  personaggi sono continuamente costretti a fingere e a mascherarsi per sfuggire a un regime di censura. Sovrapponendo al reale il proprio immaginario narrativo, Wilder racconta il mondo umano dominato dalla bramosia di denaro che influenza i rapporti sociali e  la sfera dei sentimenti umani.

Lo sguardo ambiguo e ferocemente indagatore del regista emerge in molte delle sue commedie brillanti che prendono spunto da un avvenimento drammatico, come il massacro del giorno di San Valentino in A qualcuno piace caldo o l’esecuzione di un probabile innocente in Prima pagina(The Front Page,1974). Ciò dimostra come il paradosso assuma, nel cinema di Wilder, un ruolo fondamentale per sondare la realtà e  scoprire attraverso la lente dell’umorismo le antinomie del cuore umano. Questo si materializza nel morto che parla (“Prima che gli altri vi raccontino questa storia deformandola, sono certo che vi piacerebbe sapere la verità, la pura verità”) o nel funerale della scimmia in Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1950) o nell’omosessualità taciuta in Prima pagina o ne La vita privata di Sherlock Holmes (The Private Life of Sherlock Holmes, 1970).

Con causticità  e sarcasmo Wilder racconta storie percorse dal bisogno di sesso e di denaro come strumenti per affermare il proprio potere sugli altri o per nutrire il proprio narcisismo, tutte però destinate al fallimento. Sin da La fiamma del peccato(Double Indemnity, 1944) il regista esplicita i termini della sua poetica attraverso le parole del protagonista Walter Neff (Fred Macmurry): “Ho ucciso Dietricson[…] l’ho ucciso per i soldi – e per una donna – non ho avuto i soldi, e non ho avuto la donna[…]”, sottolineando così l’abbrutimento dell’uomo moderno, la sua “impotenza” fisica e mentale.

Billy Wilder dimostra la sua genialità utilizzando il  retroterra culturale ebraico per  investigare la società americana e per denunciare la regressione che essa opera limitando la sfera dei bisogni primari e dei desideri individuali.

Cosa hanno allora in comune Billy Wilder e il film The Artist? Ben poco. The Artist non è altro che il sincero e struggente omaggio di un regista che si dimostra anche un appassionato cinefilo. Collage di numerose vecchie pellicole The Artist riprende diversi elementi dal cinema classico: la leggerezza e il savoir-faire della coppia Fred Astaire e Ginger Rogers, lo sfacciato fascino di Cary Grant, la figura del cagnolino acrobata ne L’orribile verità (The Awful Truth, 1937) o ne L’uomo ombra (The Thin Man, 1934) e il tema del mondo del spettacolo che ricorre in diversi film come ne I Barkleys di Broadway (The Barkleys of Broadway, 1949) o in Follie dell’anno (There’s No Business Like Show Business, 1954).

The Artist è senz’altro un film piacevole e sicuramente il suo più grande merito è quello di aver riportato alla ribalta il cinema muto pur essendo molto lontano dall’eccellenza del grande cinema classico. Se The Artist ha commosso il pubblico, incoraggiato a vedere qualche vecchio film, come quelli di Billy Wilder, si innamorerà perdutamente di quella sala buia con le poltrone usurate e polverose e di quella luce che, dal fondo, proietta sullo schermo sogni.

About theartship