Miart la città – stato dell’arte

Palcoscenico per galleristi ed espositori di ogni parte del mondo, per un intero weekend MiArt proclama Milano centro dell’arte. Dal 13 al 15 aprile nel quartiere fieristico di Fieramilanocity (padiglione 3, Viale Scarampo, Gate 5)la Fiera Internazionaledi Arte Moderna e Contemporanea aprirà i battenti a collezionisti e curiosi con la formula tipica del movimento fieristico italiano: grandi nomi di fama internazionale si intrecceranno con artisti cutting edge, in una serie di mostre monografiche o double – dove due maestri vengono messi a confronto- cui faranno da cornice progetti curatoriali pensati per grandi aree, i cicli di conferenze e la lodevole iniziativa dello Iulm di Milano: i giovani tra i 18 e i 30 anni potranno, infatti, accedere gratuitamente alla manifestazione accompagnati in una visita guidata di un laureato dell’ateneo. Il layout della comunicazione è quest’anno lasciato a Federico Pepe. A Frank Boehm, l’arduo compito di sancire il ruolo delle gallerie come vettori di sapere, e accorciare le distanze tra pubblico ed espositori, interpretando la fiera come una grande mostra temporanea che muove dall’idea di non fare cassa ma fare cultura. Un ruolo scomodo per l’architetto e curatore tedesco, nonché consulente perla Deutsche BankCollection Italy,  che dovrà tirar le redini di tante anime e levare via la polvere di un mercato dell’arte spesso sottomesso alle regole del denaro. Non convince pienamente, infatti, una struttura unificata che contempla un gioco di rimandi tra celebrati ed emergenti, tra vecchio e nuovo che rischia di corrompere un salotto della cultura dell’arte a favore di una concezione utilitaristica della stessa.

Lungi da Frank Boehm, che ben conosce l’effetto Cattelan, cadere in facili luoghi comuni incorrendo nelle insidie di un difficile confronto tra le posizioni di critici belligeranti e quelle dei galleristi collusi in dinamiche esclusivamente economiche. Quello che la diplomazia è in grado di fare, se mossa da ideali puliti di rilancio dell’arte come mezzo di cultura, è sterminato: a meno che non rimanga solo un orpello, uno strumento per un camouflage ordito ad hoc al fine di fidelizzare gli investitori, ormai troppo furbi per cedere. Rimane pur sempre la speranza che nel 2% dei casi, la parola venga lasciata veramente all’arte.

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