Il bon ton del Panopticon

Paola Pluchino. Avvezzi come siamo nel vestirci di cliché dimentichiamo sovente la ragione primigenia del nostro voler apparire: esercitare e mantenere un ruolo in un contesto dato. Più importante, prestigiosa e numerosa è l’occasione, più lo sfoggio di pseudo conoscenze  e luoghi comuni si fa alta, ulteriormente, più è grande il pollaio in cui starnazzare e più è probabile beccarci. Capita a volte di doversi liberare dalle grandi code pavonesche che ottundono la vista, come novelle siepi. In questi luoghi, e nell’ affaire di questa dinamica, fluida e distante dalla geometria pura,  gli abitanti  di questo campo culturale sono molto spesso  mossi da due spinte uguali e contrarie: partecipano ad un sentimento di condivisione che genera complessità, e parimenti provano a demolire il vicino impiegando il suo tempo costringendolo all’ascolto di informazioni vacue. Da ciò ben si evince come il pollaio e lo stagno coincidano. Entrambi sono utili espedienti per distogliere l’attenzione dalla possibilità di uscire dal recinto, investendo nell’habitus del tempo.

Questo numero, come sempre molto variegato e a volte antitetico negli interventi, ridisegna i rapporti e i topos in cui questa comunità si sviluppa e germoglia. Nel Nuovo Mondo, si spera lontano da quelle distopie che Aldous Huxley ci ha fatto conoscere, si impone un interrogativo importante che coinvolge a vario titolo tutti gli attori sociali: come può l’uomo collettivo porsi come differenza? Il rischio è che, avendo ognuno il diritto di esprimere la propria idea al di fuori delle rispettive posizioni sociali,  questo vocio si trasformi di nuovo in una gigantesca torre di babele, visivamente come sistema coeso ma in realtà luogo in cui la comunità inevitabilmente si disgregherebbe in tante singole individualità. L’alternativa che  le moderne scienze sociali suggeriscono consiste fino ad ora nella delega di una sola parte del proprio terreno alla funzione sociale, a quell’anima collettiva che la città, e la collettività, mostra contiene e rappresenta. All’arte il compito di intessere nuovi legami. In questo rumoreggiare spesso avvezzo esclusivamente ad una superficiale prova di forza, spuntano delle anime gentili che, oltre il mascheramento sociale, preparano coraggiosamente la vernice della nuova comunità – mondo.

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