Il ritorno italiano di Salvador Dalì

Tra stile e curatela in mostra al Vittoriano

Ilario D’Amato. “Salvador Dalì, un artista, un genio”, questo il titolo della mostra romana, visitabile fino al primo luglio, dedicata al grande artista spagnolo negli spazi espositivi del Vittoriano, che negli ultimi anni ha riservato parte della sua grande struttura per accogliere i capolavori di celebri maestri dell’arte contemporanea (l’anno scorso Van Gogh, il prossimo anno Guttuso).  A curare il ritorno di Dalì, dopo circa sessant’anni dall’ultima retrospettiva nella capitale del 1954 a Palazzo Pallavicini Rospigliosi, sono state Montse  Aguer, direttrice del Centre d’Estudis Dalinians de la Fundaciò Gala-Salvador Dalì di Figueres, e Lea Mattarella docente di Storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.

La strategia curatoriale adottata pone anzitutto l’accento nel mostrare lo smisurato ego dell’artista come premessa necessaria alla sua stessa arte, marcando in maniera decisa il significato dell’essere “Salvador Dalì”.L’introduzione dello spettatore  alla mostra avviene infatti, attraverso due sezioni video, una prima sala dedicata alla sua vita, percorsa per tappe fondamentali, ed una seconda sala, buia, illuminata solo da diversi monitor che dialogano tra loro,  in maniera consecutiva l’uno con l’altro, facendo risuonare le parole chiave di “surrealismo”, “Dalì”, e sopratutto “Io sono Salvador Dalì”; è questa una sorta di vera e propria presentazione dell’artista, che si rivolge in prima persona al pubblico stesso che si appresta ad ammirare le opere, ricordandogli la grandezza e l’unicità della sua persona e della sua arte.

<<Ogni mattina, appena prima di alzarmi, provo un sommo piacere: quello di essere Salvador Dalì!>>

Si tratta di un esposizione estremamente interessante in quanto, oltre a  realizzare un’ indagine storico artistica a trecentosessanta gradi sulla sua carriera, offrendo la possibilità a chi non è mai stato a Figueres di ammirare i tanti capolavori della sua Fondazione, permette di analizzare in maniera approfondita l’influenza, gli omaggi che Dalì riserva ad altri artisti, mentre al piano superiore  vengono lasciate le testimonianze, frequenti  incursioni di Dalì, i suoi contatti nell’Italia di quegli anni, con una meticolosa completezza di fonti e materiali. Il filo narrante è quindi “Dalì e l’Italia” e su questo non possono sorgere dubbi. Non è sicuramente un caso, ad esempio, il fatto che la sezione dei dipinti si apra con un confronto con Raffaello e si chiuda con la sua reinterpretazione di Michelangelo. Re – interpretare l’arte del passato per renderla veramente eterna, è questo che Dalì realizza nei suoi ripetuti confronti con i maestri italiani del Rinascimento o con gli spagnoli  Velazquez ed El Greco. Ma le curatrici del percorso romano, in questo primo nucleo di opere, non si limitano a mostrare solamente le sue (reinterpretazioni)interpretazioni alla seconda dei grandi maestri ma anche (quelle che sono state) le influenze degli artisti contemporanei, i modelli a cui, nelle varie fasi della sua vita e dei suoi viaggi, Dalì si è avvicinato di volta in volta. Gli esempi sono molteplici e di una chiarezza fulminante, tutto si compone in un mosaico ben articolato: la sua attenzione per il linguaggio fauve all’inizio degli anni Venti si palesa con il dipinto “Cadaqués vista dalla torre di Capo Creus”,  la sua fascinazione per le  bagnanti di Cézanne è visibile nelle “Bagnanti di Llaner”, la vicinanza con il fare cubista di Picasso e Braque si esplicita nell’ ”Autoritratto raddoppiato in tre”, nell’ “Omaggio a Eric Satie”, nell’ “Accademia neocubista” del 1926, o ancora ad esempio, la suggestione della solitudine metafisica di De Chirico, in tele come “Due cavalli davanti al mare” e “Eclissi e osmosi vegetali” .

<<Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla.>>

Un universo di citazioni, reinterpretazioni, omaggi, visibili come componenti costanti della visione surrealista indotta dal famoso metodo paranoico – critico. Altra presenza immancabile è poi quella di Gala, compagna, musa, soggetto e simbolo di un amore ed una passione fortissima, palpabile in numerosi ritratti e composizioni. A dimostrazione della sua completezza, la mostra non si fa mancare neppure i meravigliosi inchiostri e acquerelli su carta  relativi ai tanti lavori d’illustrazione letteraria realizzati da Dalì, si spazia dunque dai bozzetti per l “Autobiografia di Benvenuto Cellini” alle famose tavole della Divina Commedia e del Don Chisciotte.

<<Gala stava svegliando il mio interesse per l’Italia>>

Giunti al piano superiore si entra in quella che si può propriamente definire la sezione “Salvador Dalì in Italia” ed è qui che si denota una certa novità espositiva un’originalità che mostra davvero di tutto, anche la minima traccia che l’artista ha lasciato nella storia della penisola. Fotografie degli anni Trenta ritraggono le sue vacanze romane, un filmato del 1948 ci mostra la sua performance nei giardini di Bomarzo mentre accanto sono esposti maestosi e candidi i vestiti realizzati un paio d’anni più tardi per il ballo di Carlos de Beistegui a Venezia così come quelli per il film “Rosalinda o Come vi piace” di Luchino Visconti.  Recensioni, interviste, filmati, la fama crescente del maestro spagnolo in Italia, si evidenzia anche attraverso la pubblicità, i prodotti dell’industria come il divano a forma di labbra, le famose boccette di profumo o la serie limitata delle tre bottiglie illustrate prodotte per il liquore “Rosso Antico”. Sul finire, il percorso conduce ai recenti bozzetti realizzati dalla Disney per celebrare il magnifico video e le dolci note di “Destino” (cartone incompiuto realizzato dalla collaborazione tra Dalì e Walt Disney) per terminare poi con l’ultima immagine onirica della rassegna, che vede Dalì ancora una volta protagonista, ma questa volta non come autore bensì come soggetto del fantastico “Libro dei sogni” di un altro genio visionario, Federico Fellini.

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