Il suono emozionale di Piero Mottola

Pasquale Fameli. La ricerca artistica di Piero Mottola (Caserta, 1967) travalica i confini italiani per porsi in dialogo con le più avanzate esperienze internazionali della sua generazione, quelle di artisti come Janet Cardiff (1957) o Brandon LaBelle (1969), nati intorno agli anni Sessanta del Novecento, che operano sulle possibilità “ambientali” del suono attraverso le nuove tecnologie, svincolandolo dal dominio esclusivamente temporale della sequenzialità musicale. Si tratta di uno stadio più avanzato di quel processo iniziato con le pratiche performative di operatori estetici quali John Cage (1911-1992) o Giuseppe Chiari (1926-2007) e proseguito con le installazioni sonore di Max Neuhaus (1939-2009) o Bernhard Leitner (1938) che hanno aperto alla concezione del suono come l’elemento più fluido e smaterializzato attraverso cui gestire lo spazio artistico contemporaneo. Le possibilità di registrazione e riproduzione permettono, infatti, di considerare e utilizzare il flusso sonoro come un vero e proprio “oggetto” dinamico e di collocarlo all’interno di un ambiente, renderlo parte di esso e farlo interagire con i fruitori che lo occupano, aprendo loro nuove e nutrienti possibilità relazionali. Tutto questo avviene proprio grazie al fenomeno della “sinestesia”, da intendersi non solo nell’accezione di stimolazione simultanea poli-sensoriale, ma anche nel suo senso etimologico, cioè “sentire insieme”, con riferimento diretto all’instaurarsi, nei fruitori stessi, della consapevolezza di una certa condivisione percettiva.  Lo spazio acustico è inglobante, avviluppante e le orecchie, a differenza degli occhi, non hanno certo palpebre per esimersene.

Il suono presenta dunque una relazionalità intrinseca, ed è proprio questa su cui indaga Mottola, operando oltretutto attente analisi sulle sue proprietà emozionali: paura, stupore, agitazione, calma, collera, gioia, eccitazione, etc., variamente combinati per indurre anche inediti stati emotivi, amplificati dal potere intrinseco del suono “acusmatico”[1], puro stimolo uditivo che si autonomizza da ulteriori dati sensibili (visivi, tattili, etc.) relativi alla sua causa, impedendo l’identificazione della sua origine e destabilizzando così la percezione dell’ascoltatore[2]. In un’opera come Immateriale sonoro, autocorrelatore acustico 2 (2007) l’artista italiano crea un circoscritto percorso acustico in cui i suoni, sintetici o “concreti” (rumori accidentali prelevati dalla realtà e manipolati elettronicamente), sono realizzati o selezionati per le loro capacità di interagire con la psicologia del fruitore, esponendolo così a un’esperienza partecipativa diretta, senza ulteriori mediazioni. La durata illimitata dell’esecuzione incrementa la valenza spaziale del fenomeno sonoro, lo rende una presenza fisica costante e delega all’ascoltatore la scelta del tempo di fruizione, senza obbligarlo a quella sequenzialità predeterminata tipica dei brani musicali più convenzionali. Dal carattere più intimo e individuale sono le Scatole sonore (1997) che prevedono l’ascolto in cuffia di sapienti ed equilibrate sovrapposizioni di sospiri, clacson, porte che sbattono, rombi di motori, risacche marine, un indeterminato infrangersi di oggetti e reiterate percussioni metalliche, abili missaggi che si danno al fruitore come micro-narrazioni sonore enigmatiche e, proprio per questo, estremamente suggestive.

Per ottenere risultati di questo genere, l’artista casertano ha compiuto studi e ricerche che lo hanno impegnato per circa ventiquattro anni e che ora sono confluiti nella recentissima pubblicazione dal titolo Passeggiate emozionali: dal rumore alla musica relazionale (Maretti Editore, 2012) in cui, dopo una sintetica ricognizione dei suoi punti di riferimento principali, dal futurista Luigi Russolo al padre della musica concreta Pierre Schaeffer, Mottola espone i propri metodi di analisi psicologica e di indagine scientifica sul suono quale veicolo di induzione emozionale, nonché immateriale, ma indistruttibile, filo di congiunzione tra gli individui.



[1] Per approfondimenti su tale concetto cfr. P. SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Ed. du Seuil, Paris, 1966, p. 91.

[2] Cfr. G. PIANA, Filosofia della musica (1991), Guerini, Milano, 1996, p. 75.

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