L’archivio dell’immaginato

Paola Pluchino. Elisabetta Modena e Marco Scotti sono gli ideatori del progetto MoRE – Museum of refused and unrealised art projects. Due giovani ricercatori che hanno intrapreso un progetto innovativo e affascinante.

Il progetto segue il profilo di molte delle idee sostenute in questo periodo: bassi costi, eccellenza nei contenuti, forte presenza tecnologica.

Alla prima parte dell’intervista sono stati invitati a rispondere entrambi, la seconda, presenta nelle sue linee generali il progetto mentre la terza apre allo studio più teorico di germinazione dell’idea.

Piacere di conoscervi: Elisabetta Modena, Marco Scotti

Età:

EM: 31

MS: 31

Studi:

EM: Laurea in Conservazione dei Beni Culturali e Dottorato di ricerca in Storia dell’arte e dello Spettacolo, Università degli Studi di Parma.

MS: Laureato in Conservazione dei Beni Culturali, e attualmente dottorando in Storia dell’Arte, presso l’Università degli Studi di Parma.

Progetti in corso:

EM: Diversi. In particolare vorrei citare per la continuità con questo progetto la ricerca sulle mostre e la storia delle mostre e degli allestimenti di cui mi occupo a seguito della ricerca condotta per la mia tesi di dottorato nell’archivio della Triennale di Milano.

MS: Tanti per fortuna. Oltre alle ricerche per il dottorato, attualmente sto seguendo alcune mostre come curatore, tra cui la XXXII edizione della Biennale Roncaglia. Insegno, sempre insieme a Elisabetta, Sceneggiatura per il Videogioco all’Accademia SantaGiulia di Brescia, e continuo a collaborare, in quanto appassionato di musica, con il festival Novara Jazz.

I tre studiosi che ammiri di più:

EM: Gillo Dorfles, Nicolas Bourriaud, Pierre Lévy

MS: domanda difficile, in questo momento Gilles Deleuze,  Rem Koolhaas e Pep Guardiola.

Quale citazione meglio rappresenta lo stato dell’arte contemporanea?

EM: “Bisogna apprendere tutti i codici culturali, tutte le forme della vita quotidiana, le opere del patrimonio universale, e cercare di farle funzionare” – Nicolas Bourriaud (Postproduction).

MS: It never gets easier, you just go faster. – Greg LeMond

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Ibridazione e contestualizzazione museale

Cos’è il progetto MoRE?

MoRE. Museum of refused and unrealised art projects è un museo digitale che raccoglie, conserva e valorizza documenti relativi ad opera d’arte contemporanea non realizzate per motive logistici, economici, tecnici ecc… MoRE aggiunge qualcosa, è un “di più” che grazie al web mette a disposizione progetti, documenti e materiali altrimenti inaccessibili ed energie inespresse come sono le tante idee mai partorite, ma comunque oggetto di lavoro e ricerca da parte degli artisti che le hanno prodotte come dimostra il lavoro degli artisti con cui abbiamo deciso di inaugurare, Cesare Pietroiusti, Ugo La Pietra e Jonathan Monk. Il nostro obiettivo è quello di proporci inoltre come piattaforma per il dibattito e la ricerca non solo sul tema del non realizzato, ma anche e soprattutto su un nuovo possibile approccio museologico e museografico che il web non è ancora riuscito a sviluppare sfruttando le proprie potenzialità, essendo i tentativi finora espressi dalla maggior parte delle istituzioni museali solo mere copie di quanto è fisicamente e concretamente conservato tra mura e scaffali reali. Tautologicamente MoRE sviluppa nel virtuale la virtualità del progetto inespresso e apre inoltre spazi di indagine sul cosiddetto sistema dell’arte contemporanea e sul ruolo della committenza oggi.

Refus, riciclo, il progetto MoRE permette molteplici variazioni sul tema. A chi vi sentite vicini?

La nostra storia di (giovani) ricercatori ci impone di confrontarci con il tema dell’archivio; quella di (giovani) curatori con le modalità espositive e con il sistema dell’arte. Il nostro lavoro si muove quindi tra questi confini e nella necessità di definire il ruolo dello storico dell’arte oggi, il valore della conservazione e quello della valorizzazione.

Quali attori sociali sono stati coinvolti in quest’iniziativa?

MoRE è prodotto dall’associazione culturale Others di cui fanno parte ricercatori, curatori, project manager ed esperti in comunicazione. L’associazione ha stretto un legame con il centro CAPAS dell’Università di Parma che  ha permesso l’utilizzo della piattaforma D-Space, deposito istituzionale dell’archivio, garantendo la conservazione dei documenti e la reversibilità dei formati, un problema che si pone con grande evidenza se pensiamo alla rapida obsolescenza dei sistemi informatici.

Quali sono gli obiettivi del progetto?

MoRE aspira a diventare un museo riconosciuto, un punto di riferimento del dibattito e una piattaforma di ricerca universitaria.

Perché avete deciso di crearlo?

Crediamo che MoRE sia nato da un’intuizione frutto dell’ambiente di ricerca in cui siamo entrambi cresciuti ed in particolare grazie agli stimoli della Prof.ssa Francesca Zanella sui temi dell’archivio, del museo e del progetto. Inoltre è evidente come MoRE nasca anche dalla frustrazione di chi ha idee innovative, ma pochi mezzi per esprimerle: possiamo dire che MoRE nasce da un impedimento e al tempo stesso da un problema critico.

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Teoria del testo scritto: studi e futuribile

E. M. In una sua recensione su Le immagini tradotte. Usi Passaggi Trasformazioni, sostiene l’idea che l’immagine contemporanea si presti ad essere manipolata e ri – contestualizzata: quale atto interpretativo è in seno al progetto MoRE?

Il libro che lei ha citato, a cura di Cristina Casero e Michele Guerra nasce in seno al Dipartimento di Beni Culturali e dello Spettacolo dell’Università di Parma dove da qualche anno abbiamo intrapreso una linea di ricerca e di indagine sulla contaminazione dei linguaggi e degli ambiti creativi nel contemporaneo. MoRE in questo senso si ricollega a questa tradizione culturale per l’importanza data al progetto e alla progettualità, a prescindere da inutili e blandi tentativi di incasellamento.

M.S.  Nel suo scritto I Fought the Law?Note sulla storia, la diffusione e il significato delle forme della Street Art sulla West Bank Barrier, sostiene che la Street Art allarghi il bacino di fruizione dell’arte. In che modo questi studi hanno influenzato l’implementazione del progetto?

Certamente la street art presenta aspetti molto interessanti in relazione alla riflessione sulla natura degli spazi espositivi contemporanei, con tutte le ambiguità e contraddizioni poi che si è trovata spesso ad affrontare. Nei miei studi sono sempre stato interessato alle contaminazioni, così come ritengo fondamentale per l’implementazione del progetto la riflessione che abbiamo portato avanti all’interno del collettivo sulle possibilità espositive del non realizzato in relazione a nuove tecnologie. O meglio sulle differenti possibilità che offre il digitale rispetto a spazi espositivi storicizzati.

E.M. L’identificazione dell’opera con il luogo in cui essa è presentata è uno dei temi più attuali della museologia e, più in generale, della definizione dell’oggetto arte. C’è in voi la volontà di modificare degli aspetti del Museo tradizionalmente inteso?

Assolutamente sì: questo che lei ha citato è il fulcro del nostro progetto. Troppo spesso il museo tradizionalmente inteso non è in grado di interpretare la fluidità e la molteplicità di supporti, idee, sconfinamenti e interazioni. MoRE è avvantaggiato perché vive nel web.

M.S. Nei suoi studi sui videogiochi sostiene che questi siano i più capaci di ricevere contaminazioni dai più diversi media. Il MoRE visto in quest’ottica, sembra un contenitore virtuale a cui attingere per future manipolazioni, sbaglio?

Se non i più capaci, sicuramente sono un media molto ricettivo per la loro stessa natura progettuale. Per ora il MoRE vuole essere prima di tutto un museo e un archivio, dedicato alla conservazione e al rendere consultabili per lo studio materiali in altro modo impossibili da reperire. Certamente il digitale era per noi la dimensione ideale per far questo, ma siamo consapevoli – e personalmente molto affascinato – dall’idea del contenitore: in fondo anche Obrist, tra i primi grandi studiosi del non realizzato, ha parlato spesso del concetto di toolbox. Tuttavia per ora vorrei che questi materiali fossero in primis esposti e valorizzati, poi nessuno può sapere, in un’epoca in cui post-produzioni e cultura del remix sono ormai parte della cultura mainstream, quale saranno le future manipolazioni.

E. M. Un’altra coppia “creativa”, gli studiosi Serena Giordano e Alessandro Dal Lago, hanno rivolto il loro interesse proprio nel verso di una riabilitazione del fuori cornice artistico; qual è, oltre alla creazione dell’archivio (in collaborazione con l’Università di Parma), il vostro fuori cornice?

Sembra banale risponderle così, ma il testo che lei ha citato è stato uno degli stimoli che ha sostenuto questo progetto e non a caso l’associazione che abbiamo costituito si chiama Others. L’idea della estraneità è insita da sempre nel nostro modo di fare ricerca al di là di definizioni o etichette.

M.S. Quali sono i vostri progetti in cantiere?

Per quanto riguarda MoRE prima di tutto vogliamo continuare a lavorare sull’archivio e le acquisizioni, attivare un dibattito con contributi sul tema da differenti prospettive, e proporre mostre all’interno del sito che riflettano le potenzialità del mezzo e di un simile spazio espositivo. Poi naturalmente siamo un collettivo e lavoriamo tutti allo sviluppo dei progetti, pensando anche secondo le diverse professionalità a possibili produzioni di MoRE anche in contesti diversi.

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