Quando lo Studio Azzurro diventa tricolore

Francesco Mammarella. Torino. Non sembrano volgere al termine i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia nel capoluogo della regione piemontese. Bissa infatti, presso le Officine Grandi Riparazioni di Torino,  l’allestimento multimediale “Fare gli italiani 1861 – 2011”, una coinvolgente esperienza pluri-sensoriale, volta a raccontare la storia dell’Italia, dall’unificazione fino ai giorni nostri, attraverso due possibili percorsi didattici, uno cronologico e l’altro diviso per gruppi tematici. La mostra, che ha avuto inizio il 17 marzo, sarà aperta fino al 4 novembre, e ha già in questi due estremi temporali l’essenza del messaggio unificatore di cui è portatrice, rimandando con la prima data al cambiamento di denominazione, nel 1861, del Regno di Sardegna in Regno d’Italia e, con la seconda, all’anniversario della vittoria italiana sull’Impero Austro-Ungarico nel 1918. Realizzato dalla città di Torino e dal Comitato Italia 150, con la collaborazione del Teatro Stabile di Torino, “Fare gli italiani” è un progetto sviluppato dal laboratorio Studio Azzurro, sotto la direzione artistica di Paolo Rosa. La scelta di affidarsi al laboratorio milanese ha fortemente caratterizzato l’intero evento culturale in quanto la compagine milanese ha fatto dell’interattività sensoriale il suo più recente marchio di fabbrica, in linea con il gusto sperimentale che l’ha caratterizzata sin dal 1982, quando Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi, a cui si aggiunge nel 1995 Stefano Roveda, decidono di dare inizio alla loro ricerca artistica attraverso la realizzazione di video-ambientazioni. Dal loro primo lavoro, Luci d’inganni, una video-ambientazione realizzata per presentare parte degli oggetti appartenenti alla collezione Menphis di Ettore Sottsass, le sperimentazioni dello Studio Azzurro conoscono un continuo e duraturo successo. Delle numerose installazioni presentate nel primo decennio della loro attività, basterà, per avere una chiara idea di quanto il collettivo Milanese abbia saputo subito mettersi in evidenza all’interno del circuito artistico, ricordare IL NUOTATORE (va troppo spesso ad Heidelberg), ventiquattro monitor accostati uno all’altro e attraversati da un nuotatore, mentre micro-eventi alterano la superficie dell’acqua, presentato al Palazzo Fortuny di Venezia nel 1984, o il Giardino delle cose, video-ambientazione per immagini ad infrarossi in sei programmi video, che rileva il passaggio del calore dalle mani all’oggetto interessato, presentata alla Triennale di Milano nel 1992, XVIII esposizione internazionale. Parallelamente lo Studio Azzurro si accosta alle realtà più strettamente cinematografiche, ma sempre mirate a raccontare la condizione umana per cui l’uomo è partecipe di un sistema, di cui fanno parte fattori come la routine quotidiana ma anche la follia, vero dramma esistenziale, che viene raccontata attraverso le incisioni di un internato, Nanof, il quale per dodici anni ha scalfito un muro lungo centocinquanta metri, e alto due, esternando in modo non estemporaneo la sua visione del mondo. Nascono così lavori come La variabile Felsen, del 1988, e L’ osservatorio nucleare del Signor Nanof (1985), premiato lo stesso anno al Filmmaker Doc di Milano, opere anticipatrici del film Il Memnonista , lungometraggio tratto dal romanzo Un piccolo libro, una grande memoria (1965) del neuro-psicologo russo Aleksandr R. Lurija, in cui la prodigiosa memoria del protagonista è causa della sua vita difforme dal contesto. Il film, che ha visto la partecipazione di attori Sandro Lombardi, Roberto Herlitz, Sergio Bini e Sonia Bergamasco, ha avuto la sua consacrazione al Sulmonacinema Film Festival, vincendo, nel 2000, il premio come migliore film. Non mancano nella lunga attività artistica dello Studio Azzurro neppure gli spettacoli teatrali, che coprono un arco cronologico pressoché ininterrotto a partire dal 1985 con Prologo a Diario segreto contraffatto, in cui sette attori e quindici monitor riproducono sul palco gesti ed azioni rielaborati attraverso il linguaggio video, presentato a Roma presso il teatro La Piramide, fino a giungere nel 2006 allo spettacolo Galileo. Studi per l’inferno, presentato all’Opernhaus di Norimberga (in collaborazione con il Balletto della stessa città), che vede la messa in scena di due lezioni tenute all’accademia di Firenze dal fisico, filosofo, astronomo e matematico pisano, circa una ipotetica misurazione dell’inferno dantesco. In mezzo a questi due estremi si collocano altrettanto importanti spettacoli teatrali che hanno fatto il giro d’Europa, come La Camera Astratta (1987), presentata alla Documenta 8 di Kassel, o Kepler’s Traum,  la cui prima si è svolta all’Ars Electronica di Linz nel 1990, con la partecipazione di Moni Ovadia (il quale collabora con Studio Azzurro anche in Delfi  del 1990 e L’ultima forma di libertà, il silenzio. presentato 1993 alla XII edizione del Festival Internazionale Orestiadi di Gibellina). Nel 1995 lo Studio Azzurro apre un altro capitolo nel suo già ampio libro sulle sperimentazioni artistiche, con l’introduzione dell’installazione interattiva, in cui l’ambiente circostante muta quando lo spettatore decide di entrare in contatto con un oggetto, il quale rompe l’attitudine alla calma apparente per diventare altro da sé. Oggi, probabilmente, abituati  ai touchscreen e agli iphone, possiamo non comprendere appieno le novità introdotte da questo “ambiente sensibile”, ma Tavoli (perché queste mani mi toccano), superfici che, se toccate, alterano gli oggetti pressoché immobili che sono proiettati sopra di esse, rappresenta senza dubbio tutta la potenzialità e l’innovazione espressiva di cui questo collettivo artistico è dotato. Le novità introdotte da Tavoli (1995) restano, sino ad oggi, l’ultima frontiera esplorata dal gruppo milanese, ed anche in questo ambito non mancano i riconoscimenti da parte della comunità artistica internazionale. Nel 1997, l’installazione interattiva Il giardino delle anime, ispirata in parte al mito di Teseo e Arianna, viene presentata allo Science and Tecnology Center di Amsterdam ed esposta sino al 2001, da quando è in mostra permanente alla Hall of Science di New York. Più di recente l’installazione Fabrizio d’Andrè (2008), un percorso all’interno della poetica del cantautore genovese, è stata allestita all’interno del Palazzo Ducale di Genova, e poi riproposta nel 2010 all’interno del Museo dell’Ara Pacis di Roma, luogo assai carico di suggestioni. Tornando all’evento di Torino, non si può che essere orgogliosi del lavoro svolto dallo Studio Azzurro per una ricorrenza così emblematica come il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, un percorso interattivo fatto da italiani, i quali, con il loro coraggio di sperimentare nuove forme di comunicazione, hanno saputo costruire un importante percorso artistico che questo Paese dovrà custodire e preservare molto gelosamente.

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