Vincenzo Agnetti celebrato a Foligno

Storia del poeta che scriveva sulla verticale

L’operAzione concettuale è il titolo della retrospettiva che il CIAC ( Centro Italiano Arte Contemporanea) dedica all’artista scomparso a Milano 21 anni fa; visitabile fino al 9 settembre è curata da Bruno Corà e  Italo Tomassoni.

Nato a Milano nel 1926, si dedica dapprima alla pittura informale, per poi abbandonarla, in favore di un lettering più vicino al suo modo di intendere il fluido magmatico che si cela dietro i suoi pensieri. Lucio Fontana e Agostino Bonalumi, amici dell’artista, soffrono per l’artista di una cementificazione fattuale dell’opera, ossia, hanno la colpa di aver reso l’idea immobile e fissile entro coordinate già risolte.

Agnetti opera utilizzando la parola come strumento dell’immagine, la parola nel suo sempre ambiguo raccontare, forzando al limite le possibilità espressive di quest’ultima. Dai principi esposti all’interno della rivista milanese Azimuth, nasce Principia, del 1967, prima opera esposta al grande pubblico. Da lì, pur in cicli e parabole sinusoidali, l’artista interviene a spiegare l’arte nei termini del suo linguaggio. Nel periodo storico in cui le scienze sociali e la linguistica menano nella congiuntura teorica, in cui una cosa non è solo la sua esperienza tangibile ma portato di qualità e legamenti, Agnetti interviene -così come Alighiero Boetti per un verso e Joseph Konsuth per l’altro- ad indagare la lingua come vettore di energie, portatore di significati, e in ultima istanza, opera finita nella sua serie semantica.

Simili al ciclostile, e in alcune variazioni paragonabili ai giochi liberi delle parole futuriste (successivamente alle rese dada), la parola in Agnetti assume una precisa valenza politica. L’opera muta si fa portavoce di potente contestazione, di oltraggio e di negazione dell’immagine, oltre che dell’esatto niet della traduzione. Per questo l’artista può sembrare appaiato alle teorie della traduzione goethiana, quel pensiero tedesco che vedeva nella traduzione un trapasso, un annullamento dell’aura e dell’energheia infusa dal poeta nella sua prima stesura.

Al pari, Agnetti comunica con le sue opere l’intraducibilità dell’espressione entro reinterpretazioni – terze, del reale. Il principio bergsoniano del fluire, entra prepotente nelle opere dell’artista, circuito del tempo che non ha né origine né fine, ma adombra la possibilità di una eterna memoria presente.

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