C’era, cent’anni fa, Antonioni

La carriera cinematografica di Michelangelo Antonioni, che decolla nel1950 col film Cronaca di un amore, è caratterizzata da un’indagine sul visibile che si distingue per unicità nel panorama del cinema italiano, attraversando, contemporaneamente, diverse forme artistiche, dalla letteratura alla storia dell’arte. La ricerca formale del regista raggiunge il suo apogeo con L’avventura (1960), film in cui l’autore adottando un espediente narrativo insolito per la sua audacia manda nel pallone non solo la critica del tempo ma anche quella odierna. Che fine ha fatto il personaggio, interpretato da Lea Massari, che all’inizio del film sembra svolgere il ruolo della protagonista ma che, dopo poco, scompare per tutto l’arco del film? L’avventura è il film che rappresenta il testamento stilistico del regista, in quanto vengono messi  in scena quelli che saranno i temi fondamentali del suo cinema: l’impossibilità della comunicazione tra uomo e donna, il grado di sottosviluppo culturale dell’Italia degli anni del boom economico, l’immagine della donna bisognosa di emancipazione e l’aridità del mondo interiore borghese preso a modello di quella disumanità prodotta dall’industrializzazione della società.

Antonioni, più dei registi del suo tempo, subisce l’influsso della letteratura europea che viene ampliamente citata nei suoi film (come I sonnambuli di Hermann Broch nel film Il grido, 1957) e soprattutto di quella letteratura che descrive la fine di un’epoca. Dal punto di vista estetico, inoltre, il suo cinema risente degli influssi dell’arte contemporanea, in particolar modo di quella astratta e informale. Ma la poetica del regista non è circoscritta al periodo degli anni Sessanta tant’è che fino al 1982, l’anno di realizzazione di Identificazione di una donna, Antonioni  propone tematiche di una straordinaria modernità, come quando nella sequenza in cui Thomas Millian, che interpreta il protagonista del film sopracitato, alla ricerca dell’immagine di una donna, si trova immerso nella nebbia e non comprende le parole dei passanti, raffigurando così  lo sguardo di una società in cui domina la disgregazione sociale e una visione iper-soggettiva della realtà.

Ricordare Antonioni a cent’anni dalla sua nascita significa non solo celebrare il lavoro  di un artista che ha contribuito fortemente alla crescita culturale del nostro paese ma anche interrogarsi sulla condizione umana. Forse quando il suo cinema era all’apice della sua manifestazione poteva sembrare un cinema elitario ed inintelligibile ma con uno sguardo retrospettivo ci accorgiamo che egli ci ha suggerito, come accade in Professione Reporter (1975), quelle cose importanti dell’esistenza  di cui tutt’ora non ci accorgiamo.

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