L’arte non è bomba intelligente ma stupido cuore

Paola Pluchino. La storia dell’arte contemporanea ha visto nell’ultimo secolo il proliferare di nuove tendenze e brillanti intuizioni, molteplici modi di dirsi mondo, linguaggi eterogenei.

Questo ha generato, nei pensatori e nei teorici della nostra generazione, la volontà stringente di trovare delle categorie fenomeniche che avessero la forza intrinseca di contenere così tante spinte contrapposte, così numerosi desideri d’espressione. A ben guardare, la maggior parte di questi desideri di parola, non sono altro che mere speculazioni individuali, forze che la vanità compone e porta avanti e in nessun modo hanno la capacità di guidare il cambiamento, di essere feconde, di reggere le basi di un nuovo atteggiamento visuale.

Il problema di più difficile risoluzione, per gli addetti ai lavori che agiscono dietro le quinte, è quello di trovare dei nuovi strumenti capaci di sondare, con piglio certo e chiarezza nei risultati, fenomeni e prodotti culturali socialmente interessanti, diversi, dal magma stantio e sterile che frequentemente circonda gli ambienti dell’arte.

Accanto a imbrattatele e corniciai, fotografi della domenica e improvvisati performer, si assiste ad un abbassamento generale del livello medio di creatività, di bravura, di eclettismo reale e non paventato. Ciò che preoccupa all’oggi è la grande inconsistenza di molti artisti, curatori e critici, che arrogano diritti di parola proponendo uno spessore culturale sempre più spesso simile alla chiacchera da bar.

Probabilmente demerito stesso di coloro che abitano gli interni del palazzo dell’arte, aver ceduto troppo presto al compromesso di semplificare pur di farsi comprendere, senza compiere lo sforzo di mantenere come ombra lunga la tensione che l’arte porta con sé, il frutto odoroso, sfaccettato e non completamente comprensibile, solo intuitivamente afferrabile.

Per essere competitivi, la cultura dovrebbe porsi per differenza sul mercato, diffidando da coloro che provano a costruire necessariamente reti, ponti e legamenti, che gettano a caso fili d’alleanze, che stringono patti aleatori con la volontà di trarre un profitto contingente. La cultura è un’altra cosa, praticamente il contrario. È colore netto, nell’iride vorticosa del nostro contemporaneo, in nessun modo onnisciente e onnicomprensiva, ma solo nella somma delle parti che la compongono superiore a se stessa, lontana da quella moda del simile che rende ogni discussione banale, già sentita, noiosa, grigia come un cielo carico di smog, senz’anima.

 

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