La fine del mondo termina a Beirut, ma passa per Torino

Francesco Mammarella. Esiste una sottile linea rossa che collega direttamente la prossima profezia maya con la nostra più recente condizione esistenziale. Dati alla mano, senza aspettare apocalittiche divinazioni, ci si rende già conto di come la fine del mondo sia in realtà già iniziata, salvo non considerare l’incalzante disoccupazione giovanile salita al 39,3 %, o la paventata ipotesi di spegnere i riscaldamenti all’interno delle scuole pubbliche (per conseguire “ipotetici risparmi”), alla stessa stregua delle piaghe d’Egitto al tempo della cattività ebraica nella terra dei faraoni. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se aleggia nell’aria un velo di pessimismo cosmico, né c’è da meravigliarsi se taluni artisti, incaricatisi di raccontare drammi e problemi esistenziali, abbiano deciso di dare un forte segnale alla società contemporanea, annichilita da tempo nell’incapacità gestionale della cosa pubblica. È il caso della giovane artista libanese, ma nata a Londra, Zena el Khalil, altresì scrittrice ed attivista politica.

In occasione di Artissima 18 (Torino 9 – 11 Novembre), la giovane artista ha presentato il suo ultimo lavoro:  Beirut, I love you – A work in progress, in collaborazione col regista Gigi Roccati. Presentato alla Fondazione Merz all’interno del progetto, ideato da Artissima, It’s not the end of the world (lapalissiano il riferimento all’oggi storico:  dal 9 al 6 gennaio 2013, fatta eccezione per la sezione di Palazzo Madama, che si chiuderà il giorno 8 dicembre). Cinque rinomati artisti internazionali  (Paola Pivi, Valery Koshlyakov, Ragnar Kjartansson e Dan Perjovschi, oltre a Zena el Khalil) costruiranno un percorso unico formato da cinque progetti espositivi, in cui l’opera di Zena si mostra quale video-istallazione fatta da immagini documentarie, archivi familiari e scene di vita girate tra Beirut e New York,  estrapolate dalla sua originale esperienza di vita, a partire dal momento in cui, sotto il fracassare delle bombe, iniziò, nel luglio del 2006, l’invasione israeliana del Libano e la giovane, dal suo appartamento nella capitale libanese,  aprì un blog, affinché – dice l’artista –  “se dovevamo morire di una morte senza senso, volevo assicurarmi che il mondo intero sapesse come e perché. Non volevo che diventassimo un altro numero, un’altra statistica senza nome” . Durante i trentatré giorni d’assedio, Zena ha raccontato sul suo blog (beirutupdate.blogspot.com) quanto accadeva nella città e nelle persone che aveva intorno, a partire dalla sua famiglia e da Maya, la migliore amica, a cui da poco i medici avevano diagnosticato un cancro e che morì poche settimane dopo la conclusione delle operazioni militari a Beirut. L’elaborazione del lutto per Zena fu mediata ancora una volta dalla scrittura in rete, mai paga di emozioni, in cui predomina la paura per un futuro che non ci sarà. Nei due anni successivi l’invasione, Zena continuò a tenere in vita il blog, da cui da li a poco prenderà le mosse per redigere il libro di memorie Beirut, I love you. La video-istallazione di Artissima si inserisce nel più recente processo creativo  di Zena come tappa mediana, e altresì punto di snodo, di un più lungo progetto, come suggerisce anche il sottotitolo “a work in progress”, che porterà la stessa artista a concepire un lungometraggio sul medesimo soggetto da realizzare insieme allo stesso Roccati. Siamo certi che il video della Fondazione Merz sarà il punto di partenza nella futura realizzazione cinematografica, imprescindibile punto di partenza per un’operazione di così ampio respiro. Infine, una tale storia di amore e di amicizia universali, sommati alla necessità di lottare insieme per la propria sopravvivenza dietro la continua minaccia della guerra, può e deve essere una speranza per tutti: questa non è la fine! Nel frattempo i due artisti, nel partecipare a laboratori e seminari, continuano a ricevere premi e onorificenze di tutto rispetto come il contributo del Fondo Europeo allo sviluppo cinema di Media o i tre premi al Torino Film Lab Framework Awards. Allora, auguri ad entrambi, e grazie ancora per averci fatto assaporare il gusto del dolore, ma ancora di più il sapore della speranza.

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