Anni Leppälä & Teemu Arina

Discendenza diretta delle fiabe dell’Europa del nord, popolate folletti, elfi e fate dalle orecchie a punta, le immagini di Anni Leppälä evocano mondi lontani,  facendo in qualche modo il verso al mezzo fotografico invece usato: laddove esso dovrebbe registrare fedelmente la realtà e porla tale e quale su carta, la Leppälä risponde col paradosso, con l’intervento del sogno nell’oggettività.

La scuola di Helsinki, metropoli lontana dalla culturalità all’occidentale, genera così un modello di pensiero che potremmo definire laterale,  all’ insegna dello spirito libertario dell’espressione.

Le foto della Leppälä appaiono così interrogativi posti alla realtà, amuleti femminei  colti statu nascenti, nel sottobosco innevato della taiga finlandese.

Un nuovo modo di cogliere le sfumature cronologiche dell’esistenza, di aprire alle interpretazioni dell’altro dell’altrove dei generi e degli usi dell’arte: nella sua opera conversano poi le tradizioni favolistiche ai problemi della società, d’una giovinezza che per paura, timidezza, pudore o disistima decide di non mostrarsi, di non prestar il volto  alla meccanicismo ingabbiato dell’occhio.  Impressionante il parallelismo che la Leppälä riesce a creare con un suo vicino di casa, Teemu Arina, filosofo dell’apprendimento e studioso della Cloud, per via di una tangenza sottile d’intenti: entrambi infatti ospitano nel loro agire l’idea che nell’innovazione, nell’apertura e nel superamento delle strutture preordinate si fondi un reale cambiamento nella percezione del sapere.

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