Blue and Joy. Un pupazzo è per sempre

Anna di Jorio. Quando la tristezza sfoggia il suo sorriso più splendente e la felicità non smette di piangere non occorre sospettare falsità. Anzi, se si tratta dello scoraggiante mondo di Blue and Joy è opportuno rasserenare gli animi e predisporsi al sorriso, più o meno amaro, poiché niente è come appare. Blue, con una lacrima che affiora da un occhio: sembra triste ma non lo è; tutti lo amano, nessuno resiste alla sua malinconia. Joy, al contrario, le braccia sempre al cielo, paralizzato in un sorriso di plastica, di gioioso ha ben poco. È scettico e diffidente. Così, compensandosi, cercano di realizzare i loro sogni, senza alcuna fortuna, ma mai perdendo la speranza.

Blue and Joy è il progetto artistico nato dall’amicizia di due pubblicitari, Daniele Sigalot e Fabio La Fauci. copywriter e art director. Lavorano insieme come coppia creativa per 4 anni alla Saatchi&Saatchi di Milano. Poi per 7 mesi collaborano con il Grey Group e un anno e mezzo con l’agenzia pubblicitaria Atletico Barcellona. Ma in tutti questi mesi creano solo due campagne. Infine vengono chiamati dalla Saatchi di Londra. In pochi anni bruciano le tappe di una carriera folgorante senza lasciare tracce “dannose”: le loro idee piacciono a colleghi e addetti ai lavori, ma non al cliente. Forse troppo sincere e poco accondiscendenti con il mercato.

Dalla frustrazione che attanaglia i due creativi durante i briefing delle agenzie pubblicitarie di mezza Europa, nel 2005 nascono Blue and Joy. E con loro tutta l’estetica dello scoramento e la poetica del due picche. Sono slogan dell’insuccesso: tele con Blue che dice «Si può fare» e Joy che risponde «Un’altra volta»; carta igienica che spezza un cuore a ogni strappo, bottiglie raccogli-lacrime di design.

Blue and Joy esplorano insieme una dimensione spazio-temporale metaforica, ironici interpreti di problematiche contemporanee, dall’esaltazione alla solitudine. La semplicità del dizionario emotivo, il loro essere “pupazzi”, incapaci di scegliere cosa e come essere, prigionieri di una faccia sempre uguale, di un ruolo, Blue and Joy hanno qualcosa di molto familiare. Figli della contemporaneità anche da un punto di vista formale, essi rispecchiano la semplicità del linguaggio digitale. Non a caso Daniele e Fabio, cresciuti nel mondo della pubblicità, conoscono a fondo i dettami della comunicazione e sanno come veicolare semplici verità servendosi dello stile sintetico ed essenziale delle icone, Pop, trasformate in vero e proprio brand artisitco. È questa la carta vincente: i meccanismi della comunicazione pubblicitaria penetrano il mondo dell’arte alimentandolo con il seme della sintesi e della genialità irriverente. Fino a questa generazione di artisti il sodalizio arte-pubblicità si era sempre risolto a favore della prima con il prevalere del suo codice di legittimità. In fondo la Pop di Warhol, banalizzando, fu una forma di readymade dell’icona “popolare”, per questo riconosciuta come arte, perché obbediente in parte a principi già codificati dal sistema.

Con Blue and Joy non siamo in presenza di opere d’arte tali in quanto sculture, mosaici, tele. I due pupazzi preesistono ai media per mezzo del quale si raccontano e così anche il loro essere arte.

La prima “scoraggiante” esposizione è del 2005 a Barcellona, parallela al lancio del libro comic intitolato Out of Wishes”; ne realizzano altre sette tra Milano, Roma e Parigi. Nel 2006 finiscono prima sul Diesel Wall e poi al PAC di Milano per la collettiva Street Art Sweet Art. Il 2007 è l’anno della consacrazione artistica, Daniele e Fabio si dimettono dalla Saatchi&Saachi di Londra per dedicarsi esclusivamente alla creatività di Blue and Joy. Dopo una mostra a Londra nel febbraio 2008 si trasferiscono a Berlino per aprire il primo studio a Mitte, La Pizzeria, in onore del saporito stereotipo dell’italiano che cucina bene. Nello scorso novembre oltrepassano addirittura l’oceano con una mostra a Miami dal titolo The wind doesn’t have the plan a cura di Gloria Porcella, Lamberto Petracca e Stella Holmes. Grandi aeroplanini di carta in alluminio, un’enorme lattina di speranza “da consumare irresponsabilmente”, poi le classiche statuette di Blue and Joy: oggetti di un’adolescenza ingenua e normale, eppur così malinconica, tradotta nei toni di una giocosità monumentale che tiene a freno disillusione e amarezza.

Per il loro arrivo in Italia i due artisti si sono sdoppiati: The discipline of Chaos, presentati da Eli Sassoli De’ Bianchi, negli spazi dello studio di Bet Architetti, e ad ArteFiera, ospiti della Galleria Paola Colombari con i loro mosaici di ultima generazione, realizzati questa volta con capsule di medicinali (Dreams Keep me Awake), gli aeroplani di carta in scala gigante, già visti a Miami, e loro ‘ciclopici’ curriculum attaccati alle pareti, dicotomia tra l’orgoglio di chi non rinnega le proprie origini ‘impure’ e l’autoironia di chi ostenta ‘grandezza’. La loro verve autoironica e dissacrante sarà il mese prossimo in mostra negli Emirati Arabi, per i Dubai Design Days (17 – 21 marzo).

Ancora gli aeroplanini, troppo grandi e pesanti per far baldoria durante la ricreazione, un’insegna al neon dice che qualcosa è finito ma non si sa né il cosa né il perché di questa fine. Ogni opera ci offre una verità incoerente con l’estetica di cui è portavoce. È sempre il principio dell’ingannevole apparenza a costituire il perno teorico della ricerca artistica di Blue and Joy, qui strumentale a svelare l’equilibrio del disordine, la coerenza dell’irrazionale, la disciplina del caos.

È un mondo giocoso, lo spazio è tutto per il pupazzo, le linee sono morbide, i colori accesi, eppure è facile riconoscersi nell’apparente tristezza di Blue o nella antipatica esuberanza di Joy, spesso, più o meno consapevolmente, schiavi delle apparenze, innanzitutto della propria.

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