Alex Roman, The Third & The Seventh

Michele Di Pasquale. Nello scorrere del tempo e tra la moltitudine di linguaggi artistici, la computer grafica diventa forma di espressione sublime che, con applicazioni sinestetiche, fonde i piaceri derivanti da arti, suoni e immagini.

Figlio di alcune filosofie sull’estetica, che enumerano le forme d’arte primaria in: architettura, scultura, pittura, danza, musica, poesia e cinema[1], il capolavoro d’animazione, The Third & The Seventh di Alex Roman, nasce come “il terzo dei sette” in quanto alcune diatribe hanno rimescolato gli ordini relegando l’arte della progettazione di spazi al terzo posto.

Jorge Seva in arte Alex Roman, nato 1979 ad Alicante in Spagna, con ambizioni da regista e una staordaria capacità nella padronanza delle luci, crea una narrazione completamente in computer grafica(,) che, con incredibile delicatezza, ci conduce per mano negli spazi segreti di grandi opere come: il German Pavillion, il National Parliament Building del  Bangladesh, il Naoshima Benesse House Museum,  il Milwaukee Art Museum, L’Elogio del Horizonte, il Walt Disney Concert Hall, il Philips Exeter Academy Library, il Looking Glass Building, la Casa Huete, L’ Orioll Chamber Hall e lo Shiba Ryotaro Memorial Museum.

L’impatto fotorealistico, i lenti movimenti di macchina come la fotografia di cinema di Takeshi Kitano digitale e una fresca composizione dell’immagine degna di scuola Guy Ritchiana, split screen e rapide sfocature di campo, catturano lo spettatore cancellando le impressioni di freddo, finto e inespressivo, che in modo diffuso si applicano quotidianamente al concetto di rendering per l’architettura, surclassando questi paradigmi e creando una poesia che rapisce lo spettatore per dodici minuti e ventinove secondi.

La narrazione dell’animazione segue un percorso antitetico dove il video digitale è il prodotto di una ripresa virtuale di telecamere analogiche ricreate in 3d.

Le telecamere scorrono, dotate di vita propria, su binari che ci portano a vedere l’invisibile e c’immergono in un’ intimità nascosta, svelando una sensazione di vita paradossale per oggetti inanimati; i libri esplosi, i fogli danzanti, le micro fibre di polline ed i petali di una fioritura  sintetica, danzano nell’aria diventando i protagonisti vivi di spazi svuotati dall’umanità stessa.

L’unico cordone che ridona l’appartenenza al mondo umano è conferita dalla sagoma lontana o a volte restitituita solo per mezzo di ombre del regista digitale, presente e coinvolto negli eventi iperbolici come il fluttuare di sfere di acque tremolanti.

Il senso di totale realismo è creato grazie alla restituzione di materiali dotati di scalfiture sui bordi come geometrie vissute nella vita reale e con le riflessioni distorte di metalli anisotropici.

Le colonne sonore di Michael Laurence Edward Nyman (The Departure) e Charles-Camille Saint-Saëns (Le Carnaval des Animaux)  generano cambi ritmici esaltati da bagliori di luce, diventando collante nel passaggio da una stanza all’altra, da un’opera all’altra. Il risultato è stupore.

Alex Roman con The Third & The Seventh va oltre i dialoghi fatti sulle sette categorie aprendo le porte alla computer grafica ed inserendola di diritto in quei canoni che Hegel descrisse.

Ad oggi, l’artista, ha utilizzato le stesse formule e modalità di narrazione per produrre commercials per conto di agenzie di comunicazione creando una sua linguistica narrativa ed entrando di diritto nell’olimpo degli dei del digitale.

 


[1] G.W.F. Hegel, Lezioni di Estetica. Corso del 1823.Laterza, Roma – Bari, 2007.

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