Le animazioni lo-fi di David O’Reilly

Laura Buono. Artista poliedrico e visionario, il ventiseienne irlandese David O’Reilly dà prova del suo talento artistico già nel 2004, quando realizza i primi episodi della serie XYZ RGB, ispirata all’estetica dei primi videogiochi, animata grezzamente e originariamente caricata su un sito web sotto lo pseudonimo di Chuck Clint III. Contemporaneamente inizia a lavorare come freelance nel mondo degli Studios di animazione, carriera che abbandona poco dopo per dedicarsi completamente ai suoi progetti indipendenti.

Nel 2008 l’artista si rivolge nuovamente all’universo di Internet e pubblica, su YouTube, i cinque episodi di Octocat Adventure, presentato come il lavoro di Randy Peters, un presunto bambino di 9 anni di Chicago. La trama della serie è del tutto insignificante – la storia di un bizzarro animale, un gatto con tentacoli di polpo, che va in cerca dei suoi genitori perduti – e a questa si accosta un trattamento formale che ricacalca l’aspetto dei video amatoriali: ogni episodio è costruito intenzionalmente come una pessima animazione al computer creata da un bambino. La saga viene accolta con entusiasmo dagli utenti di YouTube e raggiunge in breve tempo un enorme numero di visualizzazioni, prima che l’artista, ormai noto, la presenti ufficialmente come sua creazione qualche anno dopo.

Queste operazioni compiute da O’Reilly, precedenti alla realizzazione del suo primo cortometraggio premiato a Berlino con l’Orso D’Oro, Please Say Something, dimostrano già un’ottima padronanza del mezzo, unito alla consapevolezza della portata rivoluzionaria di Internet nella competizione con i prodotti amatoriali che, a disposizione sul web, rivaleggiano con le opere dei nuovi artisti visivi.

O’Reilly volge la sua ricerca alla bassa definizione, si oppone all’emulazione della realtà radicata in alcuni stili tradizionali di animazione e utilizza un linguaggio completamente nuovo, mixando con estrema libertà numerose fonti visive contemporanee: manga e anime giapponesi, videogiochi, TV, pittura e animazione tradizionale. Oltre alla miscela visionaria e citazionista di elementi stilistici differenti e l’apparente rozzezza della sua CG (Computer Graphic), l’impiego di un senso dell’umorismo spietato e perverso è un tratto comune di tutte le sue creazioni. Esemplare il sovracitato Please Say Something, la storia d’amore di una coppia – un topo e un gatto –  in una città futuristica, completamente curato e animato dall’autore, che mostra perfettamente il tipico tocco di O’Reilly: animazione grossolana e priva di rendering, in deliberata contrapposizione con lo stile patinato e ricercato del cinema mainstream.

O’Reilly spesso imputa, riduttivamente, il risultato delle sue creazioni ad un problema economico più che stilistico, ma l’utilizzo stesso di software con risultati dall’aspetto antiquato o approssimativo è una componente chiave di tutta la sua produzione, che si apre a una riflessione metalinguistica sul mezzo rivelando la volontà di esplicitare i propri intenti a prescindere dal contenuto dei suoi lavori.

Infatti, dopo il sorprendente e psichedelico corto The External World, che getta uno sguardo crudo e disincantato sulla società contemporanea e in cui realtà e finzione si fondono fino a diventare irriconoscibili l’una dall’altra, anche l’ultima creazione di O’Reilly non ha deluso le aspettative di chi lo segue fin dagli esordi. Si tratta questa volta di un lungometraggio prodotto in appena una settimana, assieme a Vernon Chatman, con l’utilizzo di Xtranormal (un programma di animazione dalle funzionalità ridotte ad un numero limitato di possibilità preimpostate). The Agency riproduce una serie di dialoghi “da ufficio” esilaranti proprio perchè estremamente brutali e provocatori, inducendo un’ambiguità tra realtà e finzione: l’impossibilità di immedesimarsi in personaggi così abbozzati che, nonostante tutto, parlano di noi e dicono esattamente ciò che non abbiamo il coraggio di dire nella vita reale.

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