Il gioco dell’altro

Nelle sue mani il metallo diventa materia plastica, mutevole sostanza che assume forme docili prestandosi a ogni narrazione: Marcus Egli, artista svizzero classe 1957, giunge per la prima volta in Italia con una mostra dal titolo “Uno, nessuno, centomila” fino al 29 giugno presso la Galleria Otre Dimore di Bologna. Il percorso espositivo indaga sui fondamenti teorici dell’artista, sulla nascita dell’afflato creativo, che si conserva nei suoi volti sempre simili – ma mai uguali- nelle carature dei riflessi e nella serialità della ripetizione. Appare come un gioco tra arte e manifattura, dove l’artista produce un corpo immoto, rivelando l’esito arcano delle sue riflessioni intorno al sé. Forse memore dei fasti elvetici alla Biennale di Venezia, Egli seduce lo spettatore nel gioco materico della penombra, nella statue di metallo che intrise di pigmalionica aura richiamano le vertigini della robotica. Il materiale è mezzo, conduttore di energia e perseveranza con cui l’artista trascende, facendo dialogare l’opera con il soffio vitale che l’ha generato -e di cui ne serba memoria- allo stesso modo delle sue metallizzazioni.Ma chi sono gli uomini di Marcus Egli? Alieni icona dell’individualità o forse astronauti, uomini che sulla terra si nascondono dallo sguardo indagatore “extra – terrestre” o, ancora, sono specchio dei tempi moderni, carne immolata al sacrificio di presentare l’altro, di porsi, in quanto corpi fissili, al fenomeno soglia dell’osservatore. Come suggerito dal titolo stesso, questi uomini rappresentano i tre volti di un’unica indagine: quella ricerca svizzera che in occasione dell’ultima biennale si interrogava, per mezzo di cristalli e strumenti di comunicazione e vecchi libri, su cosa salvare, cosa proteggere e attraverso quali strumenti perseguire l’identità, macro sistema in cui l’uno, nessuno e centomila si fondono: un livellamento che è solo apparenza indicibile del loro essere non comunicabili, non attraversabili, non accessibili attraverso coordinate comuni. Dove l’espressione termina -e lascia il posto alla sinossi- lì si svela l’ultimo respiro, la volontà di ricevere dall’immagine del mondo la sua stessa immagine, percependola laddove essa si presenta, riflessa nello spazio di rimandi che interrogano chi sono, chi siamo, chi egli è.

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