Il corpo di Kazuo Ohno: la sfida alla mente

Federica Fiumelli. Incontri la sua immagine e te ne innamori. Un nome, un uomo, Kazuo Ohno.

Scomparso da ormai due anni, è stato un grandissimo artista, uno dei più grandi danzatori giapponesi del ventesimo secolo. Ma questo non basta per descrivere un’ anima così rara e speciale.
Il sole24 Ore lo commemorò con un titolo forte ed efficace: “La danza come forma dell’anima”.
Iniziò come insignante di educazione fisica poi prese a danzare esercitandosi con due pionieri della danza moderna in Giappone, Baku Ishii e Takaya Eguchi (quest’ultimo aveva studiato Neue Tanz con Mary Wigman in Germania). Nel 1950 l’incontro con Tatsumi Hijikata  fu decisivo per l’evoluzione della danza Butoh, detta anche danza delle tenebre.
La danza Butoh nasce in un contesto storico particolare:  alcuni studiosi sostengono infatti che essa dia forma e rappresenti la sofferenza della seconda guerra mondiale e la tragedia connessa allo scoppio delle bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki; su una linea prettamente tecnica, la danza Butoh si colloca tra i due diversi teatri giapponesi: il teatro No e il teatro Tabuki.
Il corpo del danzatore è sempre teso e contratto, in un immobilismo quasi ieratico, fatto di movimenti lenti, sospensione temporale, pesante trucco bianco volto a evidenziare una maggiore drammaticità del volto.
La danza di Ohno però si discosta dalla più diffusa tradizione del Butoh, generalmente più luminosa e lirica, per attingere direttamente dall’universale, frantumando le rigide convenzioni che l’esperienza quotidiana costruisce sull’individuo, bloccandolo in una sorta di griglia precostituita.
Il 27 ottobre 2001 in occasione del 95esimo compleanno del maestro è stata firmata a Tokyo una convenzione con la quale Ohno ha donato al Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna una copia dei materiali del suo archivio; è di vitale importanza che il lavoro di questo grande artista venga tutelato e tramandato di generazione in generazione.
E oggi chi prosegue questa tradizione artistica?
Sicuramente uno dei continuatori diretti di Ohno è il figlio Yoshito che ha potuto vedere il padre e Hijikata a lavoro diventando così un importante testimone.
Mitsuru Sasaki nato nel 1969 a Tokio inizia la sua formazione proprio con i fondatori del movimento Butoh, attraverso viaggi in Europa ha avuto la possibilità di arricchire la propria conoscenza e da anni svolge un’intensa attività di coreografo indipendente. Ha lavorato anche insieme ad un altro artista, Mark Alan Wilson, il quale nel proprio metodo di lavoro fa confluire elementi dal Tai Chi, dal Qi Kung.
“La danza è la realizzazione di un sogno attraverso il corpo” – così esordisce in un’intervista un altro maestro contemporaneo del Butoh, Masaki Iwana, facendoci capire esplicitamente che la danza Butoh ancor prima di essere un’arte è una vera e propria filosofia, un metodo del pensare attraverso l’uso del corpo. “Quando dico corpo, mi riferisco a un corpo totale, che include tutti i livelli: il bio-scheletro” – prosegue il maestro, sottolineando anche l’importanza delle azioni quotidiane come camminare, alzare, saltare e ponendo un accento su un aspetto importante come l’improvvisazione. Occorre quindi un allenamento fisico del proprio corpo per arrivare ad un tipo di danza che “possa toccare i cuori della gente”.
Altro nome, altra stella della danza Butoh, Ko Murobushi, riconosciuto in Giappone come principale erede della visione originale di Hijikata. Nel 1974 creò il butoh-magazine e fondò la compagnia di Butoh femminile “Ariadone”. Grazie alle numerose tournée mondiali ha continuato ad aprire la sua danza ad influenze molteplici, cercando sempre di mantenere un legame profondo con la tradizione giapponese. La sua ricerca è orientata all’utilizzo di una fisicità estrema come dimostra in una delle sue performance “Experimental Body”.
“La mia danza non ha inizio né fine; sta sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo. La mia danza non è filiazione ma alleanza, unicamente alleanza.” Così spiega il maestro.
Presente anche all’Arsenale per la Biennale della Danza di Venezia, afferma “Il corpo è abbandonato, rinserrato, circondato. Per questo l’essere umano rimarrà sempre un paese straniero. I nostri incontri sono determinati dal destino. Siamo forme che divengono tagli; siamo danzatori di confine. Quando vogliamo metterci in contatto con lo spazio circostante, questo cambia, si muove, si rifiuta, esplode. Tutte le parti del corpo si contorcono, il corpo è fatto a pezzi. Poi viene schiacciato e si riduce in mille frammenti. Il corpo in sé è privato di ogni significato, non può avere un nome; appare come mera figura, autogenerata: un doppio corpo oltre i limiti del tempo. Un po’ come un brutto scherzo… ”
Sayoko Onishi, altra grande artista Butoh, dopo l’incontro con Alessandra Manzella scelse Palermo per presentare una sua performance.
La scelta di tutti questi artisti di tenere laboratori di danza, in più parti nel mondo, contribuisce la diffusione della tradizione orientale, ma fa sì anche che questa si apra a nuove possibilità e nuovi ambienti culturali. Questa è la grande sinergia che alimenta il Butoh e la memoria di Ohno.

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