L’architettura e il suo mistero poetico

Piccola nota sull’umiltà del grande Carlo Scarpa

CRASH TEST DUMMIES  Mmm Mmm Mmm Mmm

Per vivere dopo morti sottoterra, la società

moderna vuole denaro. […] C’è un

piccolo punto, c’è una piccola ansa,

che conduce da questa parte al cimitero

vecchio. Allora io qui dormirò in terra

di nessuno, cioè né Brion, né Municipio.

È un buco che non può essere

contestato da nessuno dei due.

[…] alla vostra salute, prosit (bevendo)

 Nel 1976 Carlo Scarpa, presentava a Vienna,  un suo grande progetto a San Vito d’Altivole: la tomba Brion, 2200 mq di terra consacrata, a celebrare il ricordo di Giuseppe Brion.

Un luogo commemorativo, si legge dagli atti della conferenza, che vuole indicare non solo il passato, ma istituire un ponte con la cultura del ricordo, fugare ogni tipo di percezione dell’architettura come freddo contenitore di umanità.

Ciò che l’architettura dovrebbe fare, e qui sembra stare la grandezza dell’architetto, è essere armonia, giusta proporzione e legamento alla naturalità della forma circolare della vita.

Nel discorso che uno dei grandi maestri dell’architettura italiana (ricordiamo tra gli altri, gli splendidi risultati della gipsoteca canoviana a Possagno e le aperture significativamente legatorie per gli Uffizi fiorentini, l’araba resa del palermitano Palazzo Abatellis a Palermo e l’emozionante intervento ideato per la Fondazione Querini Stampalia di Venezia) traccia nell’arco della sua imponente carriera si scorge la compostezza e il mistero a un tempo;  di questa arte difficile, spesso incomprensibile, tacciata per la sua sobrietà e i suoi modi di espressività lontani dal gusto strillato di molta arte odierna, Scarpa si fece portavoce, nuovo nutrimento ed eclettico innovatore soprattutto della lezione architettonica del Quattrocento italiano.

Grazie anche al fotografo emiliano Guido Guidi, che ricorda il celebrato maestro con una serie di scatti fotografici (in mostra al MaXXi di Roma fino a gennaio dell’anno prossimo), l’architettura di Carlo Scarpa può cogliersi attraverso un che di ulteriore, una poeticità del segno che ricorda davvero da vicino lo stile proprio del cantori dell’uomo moderno.

Una poesia visiva in cui la processione verso l’alto s’inchina su un fianco, per abbracciare come pianta rampicante il suo vicino. Un ponte, un arco, l’ombra sotto i mosaici veneti si reinventano nei progetti di Carlo Scarpa, nell’interpretazione di una sensualità geometrica,  in una dialettica in cui la retta si piega legando il cielo alla terra, l’acqua alla luce.

Il poetico e l’arcano, l’altrove e il qui e ora, conversano in questo grande architetto italiano, umile e ironico costruttore di precetti che ricordano da vicino le parole di William Yeats:

Molte volte l’uomo vive e muore fra le sue due eternità.

Gli storici Mazzariol e Barbieri scrivono: “Appartiene alla leggenda la suprema inabilità manuale di Carlo Scarpa, e il suo pertanto docile ed ostinatissimo affidarsi alle mani degli artigiani, discutendo lunghissimamente con loro e quasi associandoli in un rapporto di parità al proprio operare progettuale”.

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