Documenta, l’estetica di un processo

Il ruolo dell’immaginazione come strumento d’attivismo politico, sociale e culturale          

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C.S. 32  strutture dislocate nella città tra Musei, cinema, white cubes, sale da ballo, alberghi, spazi industriali e luoghi dimenticati o in rovina,  più 52 punti, alcuni dei quali costruiti ad hoc all’interno del parco Karlsaue, ospitano i 193 artisti e le loro opere che costituiscono la (13) Documenta di Kassel, città diventata un palco che dà luogo a una delle più importanti mostre d’arte contemporanea del Mondo, dal 9 giugno al 16 settembre 2012.

Kassel, Kabul, Alessandria-Cairo e Banff, si uniscono topograficamente  in questa particolare ocassione per essere i luoghi dove la ricerca e le forme artistiche (basate su quattro condizioni, sul palco,  sotto assedio, in uno stadio di speranza, in ritiro) creano molteplici prospettive e punti di vista: tramite l’esplorazione di microstorie in scale diverse, unendo la storia locale e le realtà di un determinato posto con quelle del Mondo.

Questa tredicesima edizione si presenta come un vero e proprio set di elementi creati apposta per questa occasione,  che segnano le condizioni contradittorie e le diverse posizioni di impegno rispetto al nostro agire nel presente, sia essendo parte attiva del nostro Mondo o no.

I diversi partecipanti che vengono da campi diversi, l’arte, la scienza, la fisica, la biologia, l’architettuta eco-sostenibile, l’argricoltura biologica, la filosofia, l’antropologia, l’economia, la politica, la letterarura e la filologia,  danno vita con i loro pezzi a un’unità omogenea  che si caratterizza per essere sorta da una profonda analisi dei momenti di trauma, i punti di svolta o di scissione, le catastrofi, le crisi, tutti quegli eventi che come punti nello spazio, hanno segnato i momenti nei quali il Mondo si è trasformato.

All’interno dei diversi spazi è possibile  essere in contatto con un ventaglio di modi di approccio diversi fino a temi molto accordi tra di loro, il che permette e lascia con l’idea che il tutto è stato disegnato e disposto in modo da conformare una specie di schema o costellazione che diventa quasi visible solo dopo aver visto tutta la mostra.

Nell’ottica di questo percorso ibridato dal passato, il presente e il futuro si confrontano con temi come la ri-appropiazione culturale, che sembra uno dei punti di partenza di molte delle opere. Kader Attia con il suo lavoro  The repair from Occident to Extra-Occidental Culture (2012)  ne è un ottimo esempio.

Tramite un accurato esame della cultura Africana in particolare di quella del Congo, Attia focalizza il suo interesse nella pratica  di rimettere in sesto degli oggetti rovinati, tramite l’utilizzo di pezzi e elementi di diverso genere, provenienti a volte dai tempi coloniali. L’idea di generare un’ estetica diversa è il punto fondamentale di questo lavoro. Attraverso la creazione di analogie bizarre e scioccanti  tra questi oggetti, sculture contemporanee africane  e delle vecchie fotografie di interventi plastici a soldati feriti durante la I Guerra Mondiale, disposti in tèche e vecchie strutture di metallo, l’artista mette in discussione il concetto di “riparare” sia esteticamente che eticamente.

Altri artisti come Mario Garcia Torres si riappropriano invece di elementi del passato  o di un determinato particolare di una vita vissuta, in modo da creare una nuova storia. Nel caso della sua opera Have you ever seen the Snow? (2010) questa esiste solo grazie al legame instaurato e alla presenza dell’ opera Mappa del 1971 di Alighiero Boetti,e  alle lettere originali che lo stesso Boetti e il curatore Harald Szeemann si scrissero in occasione della sua partecipazione alla (5) Documenta. Sia le lettere che l’arazzo tessuto in Afghanistan – che ritrae la cartina del mondo tramite le  bandiere dei diversi paesi –  sono usate da Torres come file di archivio ed oggetti reali che documentano e danno validità alla sua indagine, come punti di ancoraggio che fanno confluire Kabul e Kassel in un unica storia e in un unico spazio presente.

Il video di 50 minuti diventa il riassunto di un progetto d’indagine sull’ albergo One Hotel di proprietà di Boetti dal 1971 al 1977, che coinvolse per diversi anni Torres. Tramite l’utilizzo di fotografie e il costante domandarsi sulla funzione, le particolarità e le limitazioni della “fotografia”, l’artista messicano crea una specie di saggio visuale nel quale narra il suo ipotetico viaggio a Kabul alla ricerca di questa struttura che, secondo le interviste fatte a Boetti, doveva essere stata distrutta durante la guerra civile.

Il video diventa un modo per narrare un racconto tramite i frammenti di altri,  per “riquestionare” la Storia, per ridimensionare un posto in costante cambiamento, per ridare un senso a un ricordo  dimenticato, per descrivere come certe cose che si credono scomparse riappaiano senza preavviso, per sottolineare il come certi luoghi diventino gli scenari adatti per rifare e riattivare la Storia.

Clemens von Wedemeyer con l’installazione triangolare  – a tre schermi  – Muster (Rushes), (2012), descrive visioni parallele di uno stesso posto.  Le tre storie che costituiscono il trittico sono ambientate nel monastero benedettino di Breitenau, vicino Kassel. Le immagini indagano sulla storia del posto e sui cambiamenti che lo percorsero, essendo stato in passato una prigione, un campo di concentramento e di lavoro, un riformatorio femminile e una clinica psichiatrica. In Muster si rivaluta il passato e il modo nel quale esso influenza il presente e il futuro: il tutto diventa una messa in scena che combatte con l’idea e l’invisibilità della quarta parete mettendo in discussione i rapporti tra verità storica e finzione.

Il tema di una nuova realtà e di un Mondo che abbraccia l’ “esterminio” del genere umano e la rinascita di una nuova società, sono i punti che Moon Kyungwon &Jeon Joonho, portano a Kassel.

Il film documentario El Fin del Mundo (2012),  descrive un mondo post-apocalittico nel quale le vite di due artisti sopravvissuti dialogano tra di loro; esso è abbinato all’installazione Voice of Metanoia (2011-2012) che rappresenta un archivio dei nuovi prodotti e delle finte società  e multinazionali che sono a capo di questo ipotetico mondo. Moon e Jeon,  ricoprono il loro lavoro con il velo di una critica che mette in discussione la funzione dell’arte e dell’artista nella società.

Documenta diventa una cornice nella quale sono contenuti, definiti, ridimensionati ed esposti, i diversi processi e progetti di ricerca e d’indagine dei diversi partecipanti che, usando come collante il linguaggio dell’arte, si servono dell’imaginazione  e dell’utopia come leva di forza per formalizzare e materializzare le loro idee;  come lo fanno Guillermo Faivovich & Nicolas Goldberg che, concettualmente, riescono a trasportare  il Chaco, il secondo meteorite più grande della terra e il primo oggetto extraterreno ad essere spostato, dal Campo del Cielo (Argentina) a Kassel, facendo coincidere questi due luoghi del pianeta, come punti che si congiungono. Il Chaco diventa il simbolo di riscoperta dei legami, del paradosso del tempo, dello scetticismo, dell’ impegno, del dislocamento, di un’idea che diventa palpabile tramite un’ immagine.

I diversi lavori ci invitano a rivedere il passato, come succede con il  film musicale The path to Cairo (2012), di Wael Shawky che narra le cronache dei cinquant’ anni tra la Prima e la Seconda Crociata, ad interrogarci sull’etica e la morale di certi delitti e sul rispetto o l’annullamento dei diritti umani, come lo fa Amar Kanwar con le installazioni e il film di The soveraign forest (2012).

Nel complesso la mostra interviene sui limiti labili, sugli spazi e buchi neri del nostro Mondo;

sui dubbi, le certezze, in modo da generare una sorta di riflessione o presa di coscienza rispetto alla nostra Storia e alla nostra realtà, invitandoci a capire il nostro essere sul palco, sotto assedio, in uno stadio di speranza, in ritiro all’ interno della nostra società.

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