Il minimalismo sonoro di Zimoun

Zimoun – Kabel 0.2

Pasquale Fameli. Il percorso artistico dello svizzero Zimoun (1977) si incentra su un minimalismo di freddo rigore formale votato alla leggerezza e alla rarefazione. Infatti, già dal suo esordio musicale, avvenuto tra il 2005 e il 2006, si evince l’interesse per la ripetizione ciclica di “micro-cellule” sonore, ottenute dalle disturbate trasmissioni di cavi difettosi e organizzate in lunghissime sequenze dalle variazioni lente e pressoché impercettibili, orientamento che lo pone in rapporto di stretta continuità con la poetica del tedesco Carsten Nicolai (1965), alias Alva Noto, tra i più radicali riduzionisti in ambito sonoro-rumoristico.

Parallelamente a quella musicale, Zimoun inizia a svolgere la propria ricerca anche sul versante dell’installazione sonora, pur sempre caratterizzandosi per un approccio riduzionista, votato all’elementarità formale, alla ripetizione seriale e alla combinazione modulare.

L’artista svizzero sembra infatti interessato a scatenare nello spazio flussi rumoristici continui e invarianti, che ottiene nei modi più disparati: amplificando, attraverso un microfono cardioide, il rumore di venticinque vermi che strisciano nel ramo di un albero, oppure sfruttando i flussi d’aria delle ventole per computer, o ancora puntando sedici ventilatori accesi su un soffice muro fatto di ben trentamila buste in plastica, il cui risultato sonoro sembra simulare il cosiddetto white noise tipico dei disturbi radio.

Disponendo come i nodi di ordinate e invisibili griglie dei piccoli motori elettrici, l’artista svizzero pone in rotazione lunghe e sottili lamelle che generano un fruscio metallico o fili in plastica che frustano, letteralmente, la superficie su cui sono montati, o ancora facendo vibrare appositi motorini nelle caselle di una cassetta per caratteri tipografici, quasi a voler sovvertire, simbolicamente, il silenzio della griglia gutenberghiana con l’assordante rumore della tecnologia attuale.

Dal 2010 in poi, a partire da semplici e anonime scatole di cartone, Zimoun realizza imponenti e rigorose strutture dal carattere modulare che fanno immediatamente pensare al Minimalismo americano, rispetto al quale vanno rilevate però ben due grosse differenze. La prima consiste nei materiali utilizzati: alla pesantezza e allo spessore del metallo, infatti, l’artista di Berna oppone la leggerezza e la sottigliezza del cartone, che meglio risponde a quel processo di alleggerimento e smaterializzazione cui tendono tanto l’arte quanto la tecnologia contemporanee, entrambe orientate verso il soft piuttosto che verso lo hard. La seconda differenza consiste, invece, nell’introduzione dell’elemento temporale-sonoro, dato dal reiterato e fitto picchiettio che soffici palline di cotone, collegate tramite spago a piccoli motori elettrici, compiono sulla superficie di queste strutture. La modularità di queste architetture “celibi”, ovvero prive di qualunque funzionalità, concorda perciò con la ciclicità ritmica delle fittissime micro-percussioni cui esse stesse sono soggette, quasi a evidenziare l’inscindibilità delle esperienze sensoriali, sempre necessariamente coinvolte in inestricabili rapporti sinestetici.

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