Masaru Kashiwagi e il giardino delle ombre

Paola Pluchino. Nato a Sendai, nella prefettura di Miyagi, in Giappone si trasferisce a Venezia a 29 anni dove comincia la sua attività di scultore. Oggi, a distanza di trent’anni, si racconta.

Il modus operandi

Sculture, disegni, incisioni, reti come scheletri corporei;  ferro, rame, materiali che contribuiscono a creare l’aura del significato dell’opera; due elementi in comune: l’uso del monocromo e la presenza del doppio.  Vuole raccontarci il suo lavoro?

Nella mia scultura molti mi domandano perché la testa è piccola e il corpo invece grande, ma per me queste sono le giuste proporzioni.

Le persone sono abituate ad immaginare la testa grande e il corpo piccolo, perché usano e pensano tante cose con la testa, così sviluppano solo quella parte. Per me, al contrario, se si usa solo la testa e non si realizza ciò che si è pensato, il prodotto è solo sogno; viceversa, realizzare quello che si è pensato e desiderato frutta, e questa nascita è per me corpo.

I miei desideri e i miei pensieri sono tante volte opposti, devo lavorare ma non voglio faticare, voglio mangiare e gustare bene ma non voglio ingrassare, voglio divertirmi ma anche riposare. Questa dicotomia, questo tipo di sentimento – che è dilemma e opposto – è quello che volevo mettere dentro il mio lavoro, e questo, a dispetto dell’apparenza non è da considerarsi come elemento negativo, tutt’altro: regola il metro della bellezza ed è per me vita.

Quello che noi vediamo dipende dal punto di vista, se cambiamo punto di vista ovviamente muteremo l’immagine di fronte a noi. Ecco io penso che per vedere la forma del vero bisogna girare intorno, è per questo che inserisco molteplici punti di percezione.

Seguendo questo motivo ho realizzato ad esempio delle opere che frontalmente rivelano un uomo grasso, mentre lateralmente sembrano magrissimi e così via.

Il mio obiettivo era realizzare opere, in particolare sculture, che al loro interno riunissero diverse impressioni, per questo ho scelto l’uomo piatto, che frontalmente e lateralmente provocano diverse impressioni, creando opposte visioni.

Prima di cominciare il lavoro con il reticolo l’ombra ha la forma delle due dimensioni. Ancor più che con la scultura con il reticolo è possibile creare dei gioghi ottici in cui l’ombra è mutevole e instabile: più chiaro in prossimità dell’opera, più scura allontanandosi.

La stessa idea della distanza reticolare è alla base della moderna computer grafica. Tuttavia, a differenza di questa, la materialità del reticolo in tre dimensioni – fisica e presente – provoca un disturbo nella percezione delle distanze, non essendo l’occhio umano abituato a vedere nello stesso punto di vista ciò che è davanti e ciò che sta dietro.

Il lavoro con il reticolo è costruito seguendo un modello di struttura molecolare quadrata e ogni “atomo” è saldato alla stessa distanza. La bellezza di questo lavoro consiste nella possibilità di usare la terza dimensione abbassandola alla seconda, e così facendo è possibile vedere ciò che è impossibile vedere. Forse questa tecnica, più delle altre contiene una meta-ricerca che mi avvicina anche all’indagine su me stesso.

Poi ci sono i disegni e le incisioni, opere che hanno una natura propria e che a me servono da progetti, a porre le basi per le mie ricerche future, in un certo senso, mi servono per chiarirmi le idee.

L’umanità dell’ombra e l’essenza rivelata

Che funzione hanno le ombre che inserisce nelle sue opere e che significato veicolano?

Anche per l’ombra il discorso è simile: la forma dell’ombra subisce modificazioni rispetto al fascio e alla direzione della luce che sull’opera si proietta; in sintesi per me funziona come un punto di vista.

L’ombra è per me un ulteriore piano di visione, la possibilità di aggiungere altri occhi. La mia relazione con le ombre è cominciata così, anche se inizialmente sfruttavo le sue potenzialità solo sulla superficie bidimensionale.

Quando ho cominciato il mio lavoro in rilievo – cioè con la scultura – volevo realizzare una forma che avesse la capacità di entrare e uscire dal muro, che comunque può considerarsi, come l’ombra, una superficie bidimensionale. Volevo creare un tipo di lavoro che fosse a cavallo tra la seconda e la terza dimensione. Ecco, volevo realizzare dei lavori che avessero 2.5, anzi 2.7 dimensioni, di modo che con un angolo di visione di 120 gradi fosse possibile comprendere le forma come tridimensionale.

Così è nato il mio rapporto con l’ombra, e grazie alla scultura si è materializzato nella terza dimensione.

La ricerca

Su quali nodi si è focalizzata la sua indagine?

Quello che mi interessa è come vediamo il nostro occhio e, d’altra parte, come l’uomo percepisce la visione. La terza dimensione è per l’uomo una costruzione mentale, frutto dell’esperienza dello studio e delle conoscenze che derivano dalla matematica, geometria etc.

Capire la funzione della visione indagando la differenza di percezione tra seconda e terza dimensione è il campo d’indagine su cui mi muovo.

La filosofia orientale

Esiste una differenza tra ombra e anima?

Non so. Ma è possibile dire che forse esiste l’ombra dell’anima, perché l’ombra dipende dalla luce e dal punto di vista (pensiero).

L’ombra nasce dalla luce, dal pensiero o dal sentimento. Se l’anima proietta un pensiero forse nasce l’ombra.

Il modus vivendi

Pur collaborando con prestigiose realtà giapponesi ha scelto di vivere nella silenziosa Venezia, perché?

Perché Venezia ancora esiste e vive alla velocità di un essere umano.

La velocità sembra superare anche il pensiero, ma per capire e sentire bene serve tempo. Fisicamente se usi l’automobile la sua velocità può superare quella umana, ma sentimento e pensiero non possono essere controllati dalla macchina.

 

Il destino

Qual è la sua più bella vittoria?

Vittorie non ne ho ancora avute, ma varie piccole soddisfazioni.

I progetti futuri

Ogni opera ha un rito e un proprio potere iniziatico. Quale energia farà nascere nei prossimi lavori?

Futuro non so. ma vorrei capire tante cose, continuando e lavorando forse riuscirò a scoprire qualcosa.

 

About theartship