EDWARD WESTON

La grande fotografia americana tra la via Emilia e il West

 Martina Bollini. Dopo Ansel Adams, arriva in Emilia Edward Weston. La Fondazione Fotografia di Modena continua a raccontare la grande fotografia americana del XX secolo, dedicando un’ampia retrospettiva a uno dei suoi più grandi maestri, in ideale continuità con la mostra dello scorso anno dedicata a Adams.

I due, del resto, furono compagni di strada e, per un breve tratto, furono loro stessi a tracciarla. Nel 1932 fondarono, insieme a Imogen Cunningham, Dorothea Lange e altri fotografi, il gruppo f/64, promotore di una poetica basata sulla nitidezza dell’immagine e sulla sperimentazione delle possibilità estetiche offerte dal mezzo fotografico. f/64 è infatti il termine tecnico che indica l’apertura minima del diaframma della macchine di grande formato dell’epoca, grazie alla quale si ottiene una messa a fuoco perfetta e una resa impeccabile dei dettagli.

Quello che Weston e soci volevano ottenere era una fotografia “pura”, immune da manipolazioni di ogni sorta, in rotta con il pittorialismo. Per citare Weston stesso, “la macchina fotografica deve essere usata per registrare la vita e per rendere la vera sostanza, la quintessenza delle cose in sé, sia si tratti di acciaio lucido o di carne palpitante”.

E pensare che fino a pochi anni prima Weston (1886-1958) faceva foto flou in pieno stile pittorialista, nel suo studio di Tropico, California, con moglie e 4 figli a carico.

Fu durante un viaggio in Ohio, nel 1922, che cominciò a sperimentare una fotografia più nitida e precisa, concentrando la sua attenzione sulle forme astratte di oggetti industriali e di elementi organici. In quello stesso anno Weston si recò a New York, dove entrò in contatto con Alfred Stieglitz e con la straight photography.

Nel 1923 Weston si trasferì in Messico. Sua allieva, modella e compagna era Tina Modotti, che diventerà a sua volta fotografa[1]. Insieme frequentarono gli artisti del Rinascimento messicano, Siqueiros, Rivera, Orozco, ma Weston, a differenza della Modotti, non assorbì il loro impegno politico. Si rivolse invece allo studio delle forme naturali, in un’incessante ricerca di una definizione della natura del mezzo fotografico.

Anche dopo il ritorno in California, nel 1926, la fotografia di Weston sarà tutta giocata sui valori formali dell’immagine. La struttura di ogni singolo soggetto, sia esso un paesaggio, sia esso un nudo, viene trascesa e idealizzata in un’eterna immagine di bellezza.

In ogni sua fotografia Weston insegue la più assoluta perfezione tecnica, tramite il controllo formale dell’immagine, la messa a fuoco, la lucentezza delle superfici, il perfetto governo della luce e dei chiaroscuri e una composizione severa quando non geometrica.

Negli anni Trenta Weston acquista un ruolo di rilievo nella scena artistica americana e nel 1936 è il primo fotografo a ricevere una borsa si studio dalla Guggenheim Foundation, che lo porta a viaggiare e fotografare nell’Ovest degli Stati Uniti per un paio d’anni. Nel decennio successivo gli vengono dedicate importanti pubblicazioni e mostre (nel 1946 espone al MoMA).

Nel 1948 scatta la sua ultima fotografia: il morbo di Parkinson ha ormai compromesso le sue capacità fisiche di fotografare. Weston passerà i suoi ultimi anni a revisionare il suo lavoro, assistito dai figli.

La mostra allestita presso i locali dell’ex convento di Sant’Agostino ripercorre tutte queste tappe, attraverso più di 100 stampe fotografiche originali, provenienti dal Center for Creative Photography di Tucsone dalla collezione privata di Margaret Weston.

Edward Weston ha descritto un’America solenne e desolata allo stesso tempo, in cui i corpi non corrispondono mai a persone, un’America silenziosa e ammantata di un crudo realismo che nulla concede alla pietà. Sotto molti aspetti, la sua fotografia è affine a tanta letteratura del tempo, da Steinbeck a Hemingway. Non è forse un caso se venne incaricato di illustrare Foglie d’erba di Walt Whitman, il padre della letteratura americana.

In una immaginaria Spoon River della California anni Cinquanta l’epitaffio di Weston potrebbe recitare le parole di un altro grande narratore del primo Novecento, Sherwood Anderson: “Il mio scopo è essere fedele all’essenza delle cose”[2].

 

EDWARD WESTON. UNA RETROSPETTIVA

Fondazione Fotografia, Ex Ospedale Sant’Agostino, Modena

14 settembre – 9 dicembre

http://www.fondazionefotografia.it/it/exhibition/

a cura di Filippo Maggia



[1] Oltre che protagonista di un bel romanzo di Pino Cacucci (Tina, Milano, Feltrinelli, 2005).

[2] S. Anderson, Storia di me e dei miei racconti, Torino, Einaudi, 1972 (traduzione di Fernanda Pivano)

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