Urban Restyling

La street art firmata Vermibus e Abraham

Canterò le mie canzoni per la strada | ed affronterò la vita a muso duro | un guerriero senza patria e senza spada | con un piede nel passato | e lo sguardo dritto e aperto nel futuro. | E non so se avrò gli amici a farmi il coro | o se avrò soltanto volti sconosciuti | canterò le mie canzoni a tutti loro | e alla fine della strada | potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.

 

Federica Fiumelli. Prendiamo queste incisive parole del grande cantautore italiano Pierangelo Bertoli, teniamo a mente, la parola strada, e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.

Prendiamo una cartina geografica, poi l’Europa, poi la Germania e la Francia.

A volte ci sono fili trasparenti che partono da lontano, fanno giri immensi e poi legano cose, persone, idee apparentemente distanti ma straordinariamente vicine.

Se Kerouac sosteneva che la strada era lì e bisognava andare, occorreva andare, spostarsi, muoversi, ecco questo breve trip tra queste righe, in questo articolo, si dispiegherà lungo le strade di alcune città, incluse quelle italiane, alla ricerca di stimoli, di nuovi occhi, grazie a due interessanti artisti europei che operano in maniera molto simile.

Fil rouge sarà la tanto chiaccherata e discussa street art, arte pubblica, sociale, quella che tutti ma proprio tutti possono incontrare semplicemente passeggiando per le strade; illegale? Brutta? Inutile?

Personalmente credo che ci sia ben altro che rispecchi questi quesiti, quello che è certo è che la strada è il primo spettacolo che abbiamo, senza pagare alcun biglietto, un teatro urbano il teatro della strada, un museo a cielo aperto.

Clet Abraham, artista francese, nato in Bretagna, ha viaggiato molto in Italia e non a caso ha il proprio studio a Firenze, dove passeggiando per le strade, alla vista di ordinari cartelli stradali si può notare qualcosa di nuovo. L’artista si definisce sticker street artist, i suoi intereventi infatti non comportano danni o eccessive modifiche, si tratta semplicemente di sticker applicati ai normali cartelli.

Siamo costantemente e quotidianamente sottoposti a normalizzazione e standardizzazione, la volontà d queste operazioni quindi è quella di riportarci ad uno stato di straniamento mentale.

Si vuole vestire di nuovi colori e sensazioni estetiche la vecchia e impolverata routine. Se, soprattutto in Italia, non si è potuto farlo negli ultimi vent’anni in politica almeno in strada, l’arte si impone nella sfera pubblica e sociale, e anche da esempi europei, possiamo prendere spunto, per comprendere che cambiare qualcosa che sembra immune si può, e bisogna crederci.

In un intervista Abraham dice che per street art si poteva intendere anche il David di Michelangelo ai suoi tempi, visto che, se tutta l’arte è contemporanea del proprio tempo, anche Michelangelo voleva dire qualcosa attraverso un’opera pubblica.

L’artista francese in un’altra intervista, afferma che i cartelli stradali, sono simboli di un’autorità cieca, obbligano, impongono, dirigono, sbarrano, vietano; occorre che l’arte costruisca un senso civico critico e responsabile, non dobbiamo andare di là perché dall’altra parte ce lo vietano, non dovremmo andare di là perché dovrebbe essere il nostro buon senso a capirlo.

Ed ecco, il restyling ironico e pungente, cristi, omini, diavoletti, popolano i cartelli esaltandone il significato.

Il divieto di accesso, diventa una pesante sbarra che un omino chinato deve portare, le due frecce diventano gambe di un corridore diabolico dal corpo geometrico, quasi alla Oscar Schlemmer.

Un restyling non cambia totalmente quello che è presente, lo altera, lo modifica con l’intento di stupire, di un different whatching.

Continuiamo a camminare per la strada, arriviamo fino a Berlino.

Un nome, Vermibus, ma anche un parametro estetico e si capirà perché.

Ed ecco, che scende la notte, un ragazzo incappucciato, si aggira per le strade tiepidamente illuminate, fredde e addormentate, con una bicicletta. Si avvicina ad alcuni manifesti pubblicitari, pressoché di moda, li stacca, li rotola e se li porta via. A che scopo?

Tornato nella sua officina, ecco che inizia il restyling, un salone di bruttezza più che di bellezza, anche la Sherman approverebbe (vista la personale parabola nell’ambito della moda, attraverso travestimenti orrorifici e grotteschi) benzina, acetone e diluente, e taaac, l’urlo di Munch urlerebbe, ma dalla gioia di scorgere altri simili, da super modelle come Kate Moss ecco venirne fuori dei mostricciatoli, delle masse ibride, tra pittorico e fotografico, dove la pennellata centrifuga di Van Gogh di una Notte Stellata, ne sarebbe attratta.

Movimento inquieto, espressionista, che rompe gli schemi e i confini, i volti, la pelle sono cancellati, modelle alla Bacon, una nuova ricetta che passa da promettenti sogni di moda a destabilizzanti, perturbanti, turbati incubi. E’ il tripudio del disfacimento della carne, tutto è groviglio, impasto, centrifuga sembrano comparire solo fibre muscolari-pittoriche, quasi come tanti vermicelli.

L’effetto di straniamento e inciampo è riuscito. Altro che shampoo.

L’artista berlinese scippa le sue top-victim e le ripropone con un restauro altamente corrosivo, apportando una modifica, un restyling in quel luogo visivo certo come è il cartellone pubblicitario, promessa di sogni di (vana) gloria e bellezza.

Sul sito dell’artista, attraverso un video caricato on Vimeo, è documentato tutto il lavoro.

Open walls in open minds.

Cammini per la strada, e paam, ecco che inciampi, il solito scalino invisibile, ti spettavi di vedere la solita ultra bellissima top che con sorriso smagliante e aria ammiccante promuove l’ultimo capo Chanel, e invece no, te la ritrovi letteralmente mostrificata, in preda al grido e al terrore.

Anche Schiele avrebbe apprezzato, sorridendo penso che un mi piace lo avrebbe messo.

E voi? Condividete?

 

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