Francis Bacon in mostra a Chieti

Quando l’estro di un artista unico incontra la serie limitata

Oserò 

Turbare l’universo? 

(T. S. Eliot, The Love Song of J. Alfred Prufrock)

 

Francis Bacon non ha mai avuto bisogno di presentazioni. Conosciuto dal grande pubblico per i suoi trittici e le sue figure perversamente oniriche, è un artista fondamentale capace di segnare una profonda cesura con i linguaggi delle avanguardie storiche. I suoi lavori, disseminati nei più importanti musei del mondo (Tate Gallery di Londra, Peggy Guggenheim di Venezia, Centre Pompidou di Parigi, Moma di New York), provocano angoscia e profonda introspezione.

Un linguaggio immediatamente riconoscibile capace di suscitare nello spettatore un magnetismo che va oltre la rappresentazione, che genera una riflessione che delega al corpo l’espressione di istanze tutte interiori. Un corpo trapassato quello Bacon, che si contorce sulla tela, si trasfigura, pervaso com’è da un’angoscia esistenziale che è punto esatto dell’impossibilità di una liberazione.

Dopo la grande mostra fiorentina, Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea, è la volta di approfondire una parte meno conosciuta del lavoro di questo artista (come le litografie frutto del rapporto con editori parigini e newyorkesi): il chietino Palazzo de’ Mayo (alto esempio di barocco abruzzese, inaugurato lo scorso 2 giugno dopo otto anni di restauro), ospita fino al 5 maggio la mostra Francis Bacon. La visione della condizione umana  ideata da Alfredo Paglione, curata da Sandro Parmiggiani e promossa e organizzata dalla Fondazione Carichieti.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo, edito da Allemandi, con testi di Achille Bonito Oliva, Sandro Parmiggiani e brani tratti dal testo introduttivo al Catalogue raisonné de l’oeuvre graphique di Bruno Sabatier, pubblicato nel 2012.

 

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