BEYOND BELIEF

Conversazione fra Julia Krahn e Angela Madesani. In occasione della doppia mostra di Julia Krahn a Imola, ai Musei Civici e alla Galleria Pomo da Damo abbiamo chiesto all’artista tedesca, che da oltre dieci anni vive nel nostro paese, di parlare di alcune tematiche portanti della sua ricerca.

I tuoi lavori nascono sempre da delle domande: quesiti di matrice esistenziale, ma essi non vogliono offrire risposte. Semmai stimolano ulteriori punti interrogativi.

Solo attraverso lo scambio dei diversi punti di vista, delle interpretazioni personali è possibile costruire un percorso, che sempre e comunque costituisce una forma di arricchimento.

Quanto ha pesato e quanto pesa la tua biografia sulla tua ricerca?

Moltissimo.

Sei spesso protagonista del tuo lavoro. È un’operazione performativa?

Quando scatto sono completamente sola, è come una performance in cui però manca il pubblico. È una cosa molto intima e non potrebbe avvenire in altro modo. Lavoro su me stessa. Ho fotografato mio padre, mia madre.

Vogliamo parlare di Mutter, madre del 2009. Come è nato questo lavoro in cui tieni tra le braccia un telo bianco come per cullare un bambino, che in realtà non c’è.

Questo lavoro nasce da un quesito sull’esistenza e sulla prosecuzione della stessa. È una domanda sul futuro.

Ritornando a Mutter, non riuscivo a dare una forma al bambino che è in braccio alla donna. Mi interessava cercarlo nelle pieghe del velo. Sentire il peso del bambino che non esiste o forse, semplicemente, non si vede.

Sei colpita dalla figura della Madonna, che torna spesso nei tuoi lavori. Mi pare che nella tua pittura ci sia una forte legame con la pittura antica, rinascimentale.

Amo andare nei musei, studiare l’iconografia, la luce la postura dei dipinti dei pittori che mi interessano. Ma nonostante tutto questo l’immagine della Mutter deriva da quella di un dipinto di anonimo che è riproposta su un santino che faceva parte della mia collezione personale di immagini di questo tipo.

Per esempio nella Mater Dolorosa del 2012, che hai esposto l’anno scorso alla Voice Gallery di Marrakech, in Marocco…

La vergine dolorosa, inoltre, è una figura commovente, e riuscire a piangere è importante. La Madonna è la terra, è il bisogno dell’origine, la voglia di ritornare a farne parte. È il distacco, ma potrebbe anche essere un richiamo alla responsabilità. Per la mostra in Marocco, come base delle posture della Mater Dolorosa, ho creato una serie di immagini e un video. La Vergine cambia spesso la posa delle mani e attraverso il montaggio delle diverse pose si crea una sorta di movimento, che confluisce in un applauso. La colonna sonora è costituita dalla sovrapposizione di diverse frasi sul tema della Mater dolorosa, da me pronunciate. Un rimando alle preghiere dei monaci o a certe litanie musulmane. È curioso il fatto che l’applauso talvolta sembra più una denuncia che una conferma.

Un altro protagonista assiduo del tuo lavoro è il piccione.

Il significato primigenio è quello di messaggero e poi di animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. La prima volta che l’ho utilizzato è stato per L’ultima cena: nel 2011. Sulla tavola vuota era rimasto un solo piccione. La gente mi diceva che avevo commesso un errore, che sulla tavola dell’ultima cena c’era una colomba e non un piccione. Così ho tinto il piccione imbalsamato, che avevo utilizzato, prima di bianco e poi di rosso. In occasione della mostra a Imola lo stesso piccione verrà esposto, ma questa volta ricoperto di foglia d’oro, un riferimento a tutto ciò che di prezioso ci circonda.

Hai realizzato anche un lavoro video con il piccione…

Tutta la mostra che ho fatto recentemente a Berlino aveva per protagonista questo animale. Per l’opera video ho utilizzato come colonna sonora la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach. Ne ho scelti vari brani e ho fatto iniziare il video con questo in particolare, secondo la traduzione di Quirino Principe:
“Sul calar della sera, quando l’ora è più fresca,la caduta di Adamo fu palese;di sera lo avvilisce il Salvatore.Di sera la colomba ritornòportando in bocca una foglia d’ulivo.O bel momento! Ora della sera!Ora è conclusa la pace con Dio:Gesù ha già portato la Sua croce.La Sua spoglia ha trovato ora la pace.Ah! Tu supplica, prega, cara anima,va’, chiedi, chiedi in dono Gesù morto,oh, preziosa reliquia di salvezza!”.
 Mi interessano le parti in cui la Madonna piange e quelle sul tradimento.
L’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento c’è anche nel Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è morto, ucciso dalla violenza dell’uomo. Tornando alla mostra che ho fatto nella chiesa a Berlino: la musica veniva dall’alto da un’installazione audio. La gente si sentiva come in una bolla invisibile di musica fortissima.

Il piccione è un animale quasi sempre detestato nella nostra società. In realtà è molto intelligente.

Infatti è stato utilizzato anche come messaggero.

Non è casuale che tu abbia utilizzato questo animale.

Nasce come animale sacrificale. È il simbolo dello Spirito Santo. A noi piace che sia bianco e non grigio, ma sono entrambi colombi, l’iconografia è quella.

La tua Ultima cena è vuota. Perché hai tolto le presenze umane?

Si tratta di un’immagine che è a tal punto dentro di noi che non sorge neppure il dubbio che le cose stiano proprio così. In realtà si sa poco di quello che si crede di sapere. Cosa fare perché la gente capisca che si tratta di un’ultima cena? Basta pochissimo: un tavolo lungo, coperto da una stoffa bianca a mo’ di tovaglia. A terra creo delle impronte: la traccia di una presenza attraverso l’assenza. L’ultima cena è un’icona. È un’immagine di solitudine, di abbandono. Cristo è stato abbandonato, tradito. Quanta umanità in questo episodio! L’uomo tradisce sempre del resto. L’idea di tradimento è anche in Vitello d’oro, che è talmente bello da sembrare di marzapane, ma in realtà è morto. Quello che mi affascina è che spesso la bellezza sta proprio nel tradimento. L’uomo è affascinato da tutto ciò che è proibito, in tal senso tradisce, va contro i suoi ideali, procurandosi in molti casi sofferenza. Quanto dolore c’è nella bellezza!

A Imola c’è una nuova presenza, quella del serpente, un animale fortemente simbolico sia in senso positivo, come immagine di completezza, che negativo, così nella Bibbia. Adamo ed Eva vengono tentati dal serpente e mangiano il frutto proibito. L’avere utilizzato proprio il serpente da parte delle sacre scritture pare sia una polemica contro i miti cananaici, per i quali il serpente rappresentava la divinità suprema.

Ho utilizzato il serpente che è il simbolo del peccato originale in una chiave di denuncia senza alcun significato negativo. Il peccato originale, infatti, ha tolto spazio alla donna. La colpa per la quale la donna dovrebbe soffrire è in realtà una forma di eroismo. Nelle religioni indiane rappresenta Kundalini che è un’energia positiva, e in quasi tutte le culture il serpente è fonte di forza. Una forza che si cerca di controllare e di sottomettere.

Vorrei chiudere questa conversazione parlando di un tuo lavoro che ha suscitato un profondo scalpore, Reinheit Maddalena del 2009. Dove tu sei seduta nuda all’angolo di una stanza. Solo sul tuo capo c’è un

drappo di un colore ocra dorato che si sviluppa nello spazio. Dalle tue gambe, dalla tua vagina esce un rosario a grandi chicchi…

Indubbiamente è un’immagine molto forte. A prima vista può apparire blasfema, pornografica. In realtà è il mio pensiero sulla spiritualità. Il titolo in tedesco significa purezza. Potrebbe trattarsi di una donna che ha appena concepito o partorito…e cosa c’è di più sacro di tutto questo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Parte di questa intervista è stata pubblicata sulla rivista online Artribune.

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