Vittorio Giardino e la Storia

Alessandro Cochetti. Si è conclusa a Bologna la settima edizione di BilbOlbul – Festival internazionale di fumetto (21-24 febbraio), che ha avuto quest’anno come guest star Vittorio Giardino, a cui è stata dedicata la mostra principale al Museo Civico Archeologico e due incontri, all’Università e in Cineteca. Occasione per fare un punto sull’autore e una riflessione sull’arte e il medium fumetto.

Dagli incontri si è potuto constatare il grande lavoro di ricerca che occupa la maggior parte dell’attività di questo grande autore: la ricca documentazione, che dura anche anni, per trovare ogni singolo dettaglio, spesso a suo proprio dire persino irrilevante, che poi andrà ad inserirsi come un tassello nel mosaico delle storie da lui create. Chi ha letto i volumi di Max Fridman o quelli di Jonas Fink può accorgersi di questo facendo attenzione a uno qualsiasi degli elementi presenti in scena: da un orologio a cucù ad un’automobile, dai palazzi alle strade fino anche agli abiti stessi indossati dai protagonisti. Ci si trova di fronte cioè ad un campionario di oggetti che catapultano il lettore immediatamente in un determinato tempo e luogo, e che sono perciò narrativi. Tanto per fare un esempio: durante le videoproiezioni Giardino ha mostrato come, in No pasaràn, compaia un aereo da guerra (la storia è ambientata durante la Guerra Civile Spagnola) che ha nella fusoliera un disegno di Mickey Mouse, escamotage che ha usato per renderlo riconoscibile poiché ricompare più avanti nella storia. Dunque quel marchio sulla fusoliera è solo di riconoscimento, e assolve ad una semplice funzione narrativa utile al lettore. Ebbene quell’aereo Giardino ci dice che esistette davvero, e ci mostra una foto (se ricordo bene di Robert Capa) dove lo si può vedere benissimo mentre è “posteggiato” in una base militare spagnola negli anni 30. Ora, questo è chiaramente irrilevante ai fini della storia che Giardino racconta in No pasaràn, ma ci dà l’idea di quale gigantesca mole di ricerca ci sia dietro il suo lavoro: per rendere riconoscibile quell’aereo avrebbe potuto benissimo inventarsi un segno qualsiasi, magari una “X” o altro, eppure anche per questo piccolo dettaglio c’è una cura incredibile, quasi maniacale, considerando quanti album fotografici di guerra dovrà aver sfogliato nel suo studio per trovare un’immagine utilizzabile. Di questi esempi se ne potrebbero fare migliaia, cercando corrispondenze e citazioni in film, fotografie, romanzi, etc, ricercando oggetti, capi d’abbigliamento e persino strade, piazze e insegne di negozi (come in Rapsodia Ungherese, dove le strade di Budapest sono assolutamente riconoscibili in foto d’epoca).
Dopo il fascino del disegno e della citazione poi si subisce però anche quello delle trame, che hanno tutte come filo rosso l’intrico, l’intreccio complicato e mai banale, cosa che ben si sposa con le ambientazioni hard-boiled del detective Sam Pezzo o con le complesse spy-story di Fridman, finanche alle storie brevi ambientate nell’Italia “da bere” degli anni 80, dove c’è sempre un omicidio, un tradimento o un mistero celati dietro l’angolo. In ognuno di questi racconti emergono così personaggi complessi, di cui lo stesso autore ci dice che ne conosce anche il passato ed il futuro, nonostante la storia in questione si focalizzi su un punto preciso della loro vita: questo meccanismo creativo Giardino dice che è indispensabile per lui, utile a creare delle personalità realistiche e convincenti, piene di quelle stesse contraddizioni che caratterizzano ogni individuo, in modo che anche l’ultimo dei comprimari possa così assolvere nel modo più verosimile alla sua funzione narrativa all’interno della storia. Giardino ci dice infatti che se un personaggio, in una determinata circostanza, agisce come agirebbe lui stesso, allora c’è qualcosa che non va, la caratterizzazione è sbagliata. Di Fridman Giardino dice di conoscere tutto infatti, dall’infanzia fino alla morte, anche se questi periodi della sua vita probabilmente non vedranno mai la luce in una storia a fumetti. C’è dunque un gioco di immedesimazione e di studio che solo i grandi scrittori sanno fare. Durante gli incontri l’autore ha tirato fuori a questo proposito un concetto molto importante e utile per capire la sua poetica, e cioè l’essere “qui” e “ora”: Giardino dice questo in risposta ad una ragazza che gli chiede, e la domanda in realtà non è banale, se lui avrebbe realizzato le stesse storie se fosse stato un disegnatore giovane oggi. È qui che l’autore inserisce questi due concetti, dicendo che probabilmente oggigiorno avrebbe forse utilizzato tecniche di disegno diverse, ma che per quanto riguarda le storie il concetto di tempo e spazio sono imprescindibili. Questo è interessante perché mostra come per la caratterizzazione dei personaggi e lo sviluppo delle trame la dimensione della Storia (quella con “S” maiuscola) sia sempre un elemento da controllare e padroneggiare per ottenere migliori risultati: il giovane Jonas Fink è un ragazzino ebreo confinato nel ghetto di Praga durante il periodo delle purghe di Stalin, Fridman è una spia francese che si ritrova nel nord-est europeo e in Spagna negli anni trenta. Sono dunque personaggi immersi in un contesto ben preciso, dove la personalità stessa dell’autore non deve entrare per non modificarne la verosimiglianza: per scrivere una storia ambientata tra le due guerre mondiali Giardino deve perciò documentarsi per sapere come era la vita durante quel periodo e far “comportare” i suoi personaggi in un modo che possa essere veritiero per l’epoca.
In definitiva entrambe queste componenti, lo studio degli ambienti e quello dei personaggi, unite ad un’attenzione maniacale, sono indispensabili alla creazione di quell’atmosfera che Giardino riesce sempre ad evocare con efficacia. L’autore si chiede infatti se questo suo lavoro passi o meno attraverso i suoi fumetti (lui dice che questa parte di studio è per lui un divertimento prima che una necessità), poiché nessuno andrà mai a controllare effettivamente se una strada o una piazza siano quelle reali o no, ma io credo che in qualche modo questo venga percepito dal lettore e la mostra dedicatagli è, oltre ad un omaggio alla sua carriera, una prova che non sono il solo a pensarlo.
La mostra al Museo Civico Archeologico di Bologna (dal 22 febbraio al 1 aprile) cerca infatti di mettere in luce tutti questi aspetti. Già dal titolo “La quinta verità” che, oltre a richiamare il titolo di un suo racconto breve (La terza verità), focalizza l’attenzione su come, nell’opera di questo autore, niente sia mai scontato, che la realtà dei suoi fumetti è qualcosa di complesso esattamente come complesso è il mondo reale che ci circonda.
Su queste pagine si era già parlato, a proposito della mostra di Enki Bilal al Louvre e di quella di Robert Crumb al MAM di Parigi, dell’importanza che il medium fumetto assume oggi nel panorama più complesso dell’arte contemporanea: Bologna, città natale dello stesso Giardino, si rivela così sensibile a questo problema, dedicando una mostra e degli incontri che realmente scavano a fondo nella poetica di un grande narratore imperdibile anche per i non appassionati del fumetto.

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