Ubriacare i sensi

#HANDEL – Passacaglia (nel duetto Perlman e Zuckerman)

Vivere per molti anni in una città come Bologna ti permette di mutare il tuo atteggiamento maturando una curiosità viscerale e spasmodica nei confronti di tutto ciò che è celato e apparentemente nascosto.

È una caratteristica peculiare di questa sede medievale il conservare, nelle nicchie architettoniche e nelle sue magnifiche corti interne preziosi tesori e incantevoli scoperte, affascinando colui il quale s’imbatte in questi luoghi per la prima volta.

Questa è la storia d’un incontro inconsueto, tra due sensi – l’olfatto e il gusto – e tre anime: la sede, Borgo delle Tovaglie, lo chef Riccardo Facchini e il profumiere Dr. Gritti.

Via Farini è a Bologna ciò che a Milano è via Montenapoleone e a Roma via Condotti: una via da upperclass dove i cartelli della moda si contendono il primato della vanità a suon stoffe pregiate e pellami riccamente lavorati, tra calzari come sculture e gioielli come ricchi ed opulenti assegni. Per chi s’intende d’avanguardie stilistiche, questa strada, così come il quadrilatero che la contiene è percorsa come un mantra da addicted  di ogni età, ogni giorno. Eppure, pur battuta palmo a palmo questa via non cessa di stupire; poco dopo la Galleria Cavour, dietro un imponente portone, una sera, la sorpresa.

L’occasione era ghiotta e riservatissima, una cena rigorosamente su invito in cui poter sperimentare un originale connubio degustando piatti deliziosi sulle note incantate dei profumi del Dr. Gritti, maison veneziana specializzata in profumi d’élite.

Una creatura culinaria sofisticata e vertiginosa, un esperimento (il primo di una serie) che ha puntato sull’originalità e perché no, sull’essere open minded dei commensali.

Circa venti invitati accolti tra le tovaglie e le magnifiche lampade shabby chic della casa (must have per chi ama il design industriale alle reminiscenze bonheur, acquistabili on line su www.borgodelletovaglie.com).

Niente vino per questa cena, sostituito da eleganti acque profumate.

Un gioco gradevole cui i partecipanti si sono sottoposti volentieri, cercando di cogliere in ogni piatto le affinità cromatiche e sensoriali associate ad ogni profumo, ognuno così ricco di storia, ognuno così evidentemente caratterizzato da una narrazione che era un viaggio, un ricordo, un monito al risveglio delle percezioni che come incontro inusuale prometteva meraviglia.

Un percorso culinario e odoroso studiato a priori, caratterizzato da un crescendo d’intensità dove al rabarbaro si sposava il curry e all’antica Damasco faceva eco l’animalità della carne, le spezie rare.

Un climax raggiunto con la violenta composizione d’agnello crudo cui si legava per principio contrastante ( e con una punta di blasfemia forse eccessivamente provocatoria) il suono metallico dell’incenso, laddove il fine sembrava trasformarsi in un interrogativo della coscienza.

Sulla via del Minimal un’eccellente tartare di cocomero e olio di lavanda, sofisticatissima delizia per palati fini e menti meditative, considerazioni su un tempio – il corpo – da purificare e celebrare.

Sei portate per altrettanti profumi, in un viaggio che partito dalla Serenissima Venezia ha toccato la storia delle città e che dopo le sue conquiste d’Oriente ha sedotto i commensali, rapiti da quel clima un po’ alla Eyes Wide Shut, un po’ dal raffinatissimo e riuscito connubio.

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