Un pavimento di monetine come metafora della dispersione dei fondi per i terremotati

Maria Livia Brunelli. Chi ha visitato ArteFiera di Bologna quest’anno non poteva non notare un affollamento costante di persone davanti a uno stand della sezione giovani gallerie. Ne hanno parlato infatti diversi giornali come lo stand più visitato della kermesse bolognese. Forse perché quest’anno abbiamo pensato di fare un progetto curatoriale, a differenza delle altre gallerie che esponevano opere di vari artisti senza un collegamento tra loro. La scelta è caduta su un tema di grande attualità per la città e la regione in cui la galleria opera: il terremoto. La MLB home gallery ha infatti chiesto a cinque artisti di ideare opere site specific su questo tema, per innescare una riflessione rispetto a ciò che è accaduto, di cui ancora rimangono intatte le cicatrici.

Abbiamo pensato a opere che coinvolgessero a livello emotivo lo spettatore, come la spettacolare installazione di Stefano Scheda, realizzata grazie alla collaborazione della Banca di Romagna: una coltre mobile di migliaia di monetine da un centesimo ricopriva l’intero pavimento dello spazio espositivo. Il visitatore, entrando nello stand, diventava parte interattiva nella modificazione fisica e sonora prodotta dallo spostamento e dal calpestio delle monete nel suo camminamento, creando continue traiettorie variate durante l’osservazione delle opere esposte sul tema del terremoto. Un riferimento ai fondi destinati ai terremotati che faticano ad arrivare a destinazione? Una metafora della esiguità del risarcimento rispetto ai danni subiti?L’accumulo di monete alludeva anche ai calcinacci prodotti dallo sfaldarsi delle  costruzioni ed ai fenomeni di liquefazione e crepe dei terreni post sisma: una  zona dello stesso colore della terra, mobile come le macerie del terremoto, quantificazione aleatoria del valore, ossessione del denaro compensata dal nulla. Le altre opere esposte dall’artista bolognese a parete erano invece fotografie, declinazioni  non ovvie sul terremoto. Tra queste, una fotografia che ritrae gambe e braccia di bambini che fuoriescono da un accumulo di mattoni da costruzione: un tentativo di addomesticare  la paura gicato sulll’ambivalenza fra casa rifugio e casa prigione-morte.

 

Di grande impatto anche le sculture concettuali di Stefano Bombardieri: le quattro tabelle optometriche realizzate dall’artista bresciano si rifanno come forme e dimensioni alle classiche tabelle utilizzate per la misurazione della vista, ma accostate tra di loro compongono la parola “HELP”. La ripetizione delle quattro lettere (H E L P) trasforma così la parola in urlo. In sostanza si tratta di una richiesta d’aiuto urlata che l’ambiente lancia all’uomo: il riferimento al terremoto in Emilia consiste nello scarso rispetto per l’ambiente nelle zone del ferrarese e del modenese sottoposte a trivellazione per l’estrazione del gas metano, possibile causa dell’aggravamento degli effetti del sisma. Invece in Natura morta/viva, grazie a un dispositivo elettronico, piatti, bicchieri e posate si muovevano sul tavolo tintinnando con modalità differenti, come a evocare le vibrazioni del sottosuolo; a volte il ritmo è concitato, in altri momenti si fa più pacato.

 

Silvia Camporesi ha realizzato invece una serie di fotografie tridimensionali di edifici e luoghi abbandonati. Attraverso la tecnica giapponese kirigami  (taglio e piegatura della carta fotografica) le immagini acquistano tridimensionalità, evidenziando inedite spaccature, mentre al contempo la delicatezza della carta è metafora della fragilità delle architetture. Altre immagini, realizzate all’interno di un edificio in disuso, raccontano i dettagli di un abbandono improvviso: crepe, polvere, frammenti di intonaco.

Ha poi lasciato senza fiato i visitatori un’enorme opera di Ketty Tagliatti, di circa tre metri: una camelia realizzata con una tecnica stupefacente per un’opera così grande, perché ogni petalo è formato da centinaia di spilli che, sapientemente affiancati e direzionati, creano le morbide volute tipiche di questo fiore. La fitta trama di spilli lucenti si presenta come un raffinato ricamo d’argento, ma evoca anche il lento e meticoloso processo di ricostruzione delle terre colpite dal sisma. Un processo materiale, ma anche psicologico, che implica un costante impegno quotidiano, oltre che una infinita pazienza: come quelli che, simbolicamente, l’artista ha dedicato per la realizzazione di quest’opera.

E infine ha riscosso grande successo il ferrarese Marcello Carrà, giovane artista autore di sorprendenti disegni a penna biro di grande formato: nel trittico La festa è finita ha rivisitato tre capolavori di Pieter Brueghel il Vecchio, immaginando gli stessi spazi, festosamente affollati nelle opere del pittore fiammingo, in uno stato di abbandono e “inagibilità” dovuto al sisma. L’artista ha arricchito le opere con paziente minuziosità tramite l’inserimento degli inevitabili danneggiamenti che il terremoto provoca sul paesaggio e sugli edifici, soprattutto se di carattere storico. Una metafora delle sofferenze che anche l’arte patisce a seguito di queste drammatiche calamità naturali.

 

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