OHM. Della donna

con Chiara Pergola

#Brigitte Fontaine – Y’a Des Zazous

Sbirciando attraverso il vetro di questo secretaire-museo, si notano degli oggetti molto dissimili tra di loro, lacci, vecchi libri, scatole. Quali sono i più preziosi ed esiste una relazione tra tutti questi elementi?

Gli oggetti provengono da fonti diverse: alcuni sono donazioni degli artisti che hanno esposto al Musée de l’OHM, si tratta in molti casi di opere d’arte, tra le quali non mi sento di stabilire gerarchie. Un’altra parte invece è formata da un nucleo di oggetti e piccoli simboli legati allo scambio tra me e alcune persone che sono state importanti nella mia formazione. Questi sono più rilevanti da un punto di vista affettivo, ma sono difficili da decifrare al di fuori del contesto di dialogo per cui sono stati prodotti, perché non si avvalgono di un linguaggio codificato.

Come ha fatto a far ospitare il Musée de l’OHM all’interno del Museo Civico Medievale?

Quando ho sviluppato l’idea di questo museo, stavo cercando un luogo pubblico in cui collocarlo, possibilmente un museo storico per sottolineare il rapporto tra contemporaneità e tradizione. Proprio in quel periodo un critico di Bologna, Massimo Marchetti, stava discutendo con Renato Barilli la tesi di specializzazione, e aveva inserito Musée de l’OHM in un discorso sulla Critica Istituzionale; in commissione c’era anche Massimo Medica, il direttore del Museo Medievale, e così si è aperto un dialogo.

 Parliamo della mostra La Transparence, e delle domande postele dal nuovo direttore del Musée de l’OHM, Marc Giloux. Vorrei chiedere preliminarmente cosa è per lei la transparence e in seconda battuta vorrei che mi spiegasse se veramente il museé dell’Ohm è – come dice – un alibi o anche altro.

La “trasparenza” è centrale nel discorso concettuale; ci sono quindi volendo una serie di rimandi al supermento dell’immagine in senso retinico che ormai fanno paradossalmente parte della nostra tradizione iconografica. Ma quello che ha interessato molto sia me che Marc Giloux, è la declinazione che il termine ha nel linguaggio aziendale, che fornisce spesso spunti del nostro lavoro comune. Transparency in inglese e Transparent in francese indicano un oggetto ormai desueto che è stato molto utilizzato, il foglio di acetato per le presentazioni con la lavagna luminosa. Anche questo ormai è modernariato, sono concetti ed oggetti, come la Glasnost, che erano centrali negli anni ottanta. Attraverso un percorso che parte da lontano, vogliamo dunque indicare oggi una possibilità di trasparenza “totale”, cioè di visibilità di tutti i “particolari”. Prendo le parole del direttore del Musée de l’OHM, nella sua introduzione critica (che è possibile vedere al link seguente  https://www.youtube.com/watch?v=XtHqEK9fXdI ): “Al di là della concezione occidentale dello spazio centralizzato  e universalista, OPPORREMO una concezione eccentrica e particolarista”…

Per quanto riguarda il mio rapporto con il Musée de l’OHM, è difficile riassumerlo in una battuta, certamente è sia un alibi che altro. Anzi forse si potrebbe dire che è un “alibi” proprio perché è una “macchina” per veicolare “altro”.

Secondo la sua prospettiva, anche la mia borsa potrebbe essere un museo, se contenesse piccoli oggetti artistici, o il mio armadio, se contenesse modelli d’alta sartoria…

Penso che se fosse suo desiderio trasformare una borsa o un armadio in museo, potrebbe farlo adottando prima di tutto una struttura di gestione di questi contenitori come musei, anche al di là del tipo di oggetti che contengono. Potrebbe essere interessante fare di un armadio o di una borsa un museo proprio in quanto NON contengono oggetti di design o abiti di sartoria, ma oggetti e abiti comuni, che chiunque potrebbe avere nel proprio armadio o nella propria borsa.

mi domando quindi quali caratteristiche deve avere per lei uno spazio per potersi considerare museale e quali elementi, fuori dalla classicità, possono identificarlo come tale.

 

Il concetto di classicità è qualcosa che si è formato nel tempo, e arriva fino a noi attraverso una storia articolata e complessa che ci porta a riconoscere collettivamente un apparato semantico. Questa “riconoscibilità” è comunque un processo sempre in divenire, e che non può mai dirsi concluso, nemmeno per i cosiddetti “classici”, dal momento che esistono culture che non sono affatto disposte a considerarli tali, e che hanno uguale diritto di cittadinanza su questo pianeta. Per cui quello che mi interessa non è tanto trovare o definire una “formula” per creare uno spazio museale, quanto inserirmi attivamente – attraverso un esperimento – all’interno del processo di formazione di un immaginario culturale.

 

 

Musée de l’OHM

via Manzoni 4, Bologna

c/o Museo Civico Medievale

http://www.facebook.com/musee.delohm

openingheremuseum@gmail.com

 

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