L’estasi e il memento nelle fotografie di Hannah Gauntlett

L’attimo perfetto non esiste, la fotografia ha bisogno di un’interpretazione, di un tempo diverso, di strumenti per rivelare la contemporaneità: dopo due anni di silenzio Hannah Gauntlett, fotografa freelance e globetrotter, torna con una mostra- retrospettiva al Maab di Padova (fino al 12 maggio). Una cinquantina di opere che indagano sulla dimensione della fotografia non come analisi dell’attimo, dell’hic et nunc, ma come mezzo espressivo suscettibile di manipolazioni successive dove affiorano lo smarrimento dell’individuo, la solitudine della presenza, l’imperante movimento dei non luoghi. Non a caso, la Gauntlett fotografa in grandi e dispersivi luoghi pubblici, luoghi di passaggio in cui l’esserci è transitorio, in cui anche chi fotografa scompare in una trasparenza di intenti; l’immagine si trasferisce quindi dapprima su un supporto altro (alluminio legno e ferro principalmente), per poi subire “incursioni” con oggetti della vita di tutti i giorni..

Secondo la Gauntlett, laureata prima qui e poi li, il mondo rischia di implodere dentro il silenzio urbano che scandisce i gesti  e i volti di un calembour sempre uguale e anonimo. La presenza è urgenza dell’esserci e del ritrovarsi , uscendo fuori dalle dinamiche fintamente sociali (twitter, face book, mail) che costringono l’uomo alla solitudine, all’isolamento e all’abbandono, attraverso un intervento sul modus operandi pubblico. Riappropriarsi della comunità è dunque parola condivisa, è immagine reale: nella manipolazione di Hannah, si scorge un vuoto dell’anima, un punto morto in cui la collettività è un informe e fagocitante moto perpetuo che fa rotta verso l’oblio.

Merito della giovane artista è senza dubbio quello di essere intervenuta sulla tribuna dell’arte con fare delicato e con estrema fermezza, imboccando la via dell’interpretazione delle dinamiche comunitarie; ma il silenzio, associato all’assenza, rimane comunque un punto interrogativo inciso su tavole dove studiare una soluzione che sia in viaggio, nel divenire dei momenti in cui la presenza non è che fantasma, ma in cui il ricordo può forse ancora riabilitare la presenza come nucleo forte del futuro.(correggi tu)

Queste immagini, come sezioni urbane, come mappe sinottiche in cui il prima e il dopo, l’uno e il molteplice si ibridano in un dialogo collettivo, provocano nello spettatore una sorta di nostalgia e, parimenti, una presa di coscienza forte e gelida, avendo l’uomo cominciato da tempo a costruire il suo fare seguendo delle coordinate virtuali, in cui l’unico tempo che conta è la presenza, l’esserci nelle vetrine virtuali dove l’uomo viene catalogato seguendo algoritmi irreali.

Allora, nella percezione dei contrasti materici,  nella foto con il biglietto, nello scatto con l’orario, ciò che si crea è esso stesso una reinterpretazione di quel diario standard in cui -come in un gigantesco panopticon- tutti si vedono ma nessuno si parla, un luogo in cui è sceso il silenzio, eloquenza della disperazione e del raccoglimento interiore.

dal sh d �2�W7a in poi, in seguito al generale risveglio culturale, si riscontra una nuova partecipazione delle donne alla vita sociale e politica segnata da un’intensa produzione di testi teatrali da parte di autrici come Natalia Ginzburg, Alba de Cespedas e Maricla Boggio che non hanno trovato ancora il giusto riconoscimento da parte della critica nazionale. Negli anni Settanta inoltre, con il movimento femminista, le donne trovano un  interesse sempre più ampio per la scrittura teatrale: in Italia particolarmente significativa si rivela l’esperienza del teatro “la Maddalena” che ha visto coinvolte autrici e registe come Dacia Maraini impegnate a portare in teatro battaglie sociali e il privato delle donne. In seguito alla fine degli anni  Ottanta le drammaturghe diventano sempre più numerose, fenomeno rilevato dagli stessi annuari della SIAE, vincono premi per la drammaturgia contemporanea, si impongono sulle scene con testi nuovi e interessanti, con una ricerca che riguarda sia il linguaggio che i temi trattati[1]. Nonostante questo rimangono non poche difficoltà per quanto riguarda la distribuzione e la circolazione dei nuovi testi, legate alla crisi economica ma anche al sistema teatrale italiano che non prevede il drammaturgo di residenza. In Italia infatti, questa figura non è riconosciuta ed i testi non vengono commissionati né dai teatri né dalle compagnie ma, una volta scritti, raggiungono una conferma direttamente dalle strutture produttive. Come afferma Laura Olivi, Dramaturg italiana presso  il Residenz Theater di Monaco di Baviera,  questa figura

ha, infatti, il compito di elaborare e suggerire, nella collaborazione con il Direttore del Teatro, le idee cui legare l’immagine e l’attività del teatro in un determinato periodo, suggerire i registi, evidenziare i temi più importanti del momento, anche e soprattutto per il teatro politico/sociale e, infine, selezionare gli spettacoli proprio in funzione di quelle. Una vera e propria linea editoriale, che favorisca continuità “ideologica” ed “estetica”. In Italia manca, credo, questa continuità, questa omogeneità, perché, quello italiano, è soprattutto un teatro di tournèe, un teatro di compagnie di giro, dove ogni spettacolo sta un po’ per conto suo, nel senso che non si lega in una proposta complessiva e proiettata nel tempo. Ci vorrebbe così un dramaturg per ogni spettacolo, oppure al seguito di ogni regista, ma ciò non è economico ed efficace. Quindi, potrei dire, che il mio ruolo è il risultato di una idea organizzata di teatro che in Italia non c’è per tradizione, tranne pochi esempi, e stenta a costituirsi. In Germania la disponibilità di tempo e la stabilità di adeguate risorse consente di dare ai singoli teatri, nell’ambito della comunità che li esprime, una continuità di pensiero e di crescita che, credo, in Italia sia raramente riscontrabile[2].

Per legge, i teatri stabili pubblici sono chiamati a portare in scena ogni anno degli autori contemporanei; e se questo spazio venisse utilizzato e valorizzato commissionando testi a giovani autori e autrici?  Se si mettessero in scena con sistematicità, come già si fa in alcune realtà,  i testi vincitori di premi di drammaturgia contemporanea che spesso rimangono sulla carta? Sta di fatto che nel mondo teatrale italiano lavorano autrici contemporanee conosciute spesso soprattutto  all’estero come Letizia Russo, Laura Forti, Sonia Antinori, Laura Olivi, Renata Ciaravino ed Eleonora Danco e Vanda Monaco. Queste drammaturghe rappresentate, premiate e pubblicate regolarmente, nonostante le difficoltà che ostacolano l’emancipazione dall’anonimato, rendono ricco e poliedrico il panorama della scrittura teatrale italiana, coltivando un equilibrio costante con la tradizione e nello stesso tempo elaborando una sintesi tra passato e presente, tra impegno politico sociale e  la sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi. Ma in questa ricerca individuale di ciascuna è possibile rintracciare i segni di una specifica scrittura femminile nel genere teatrale? Esiste un’estetica teatrale femminile che tenga conto del grande ed in parte ancora sommerso lavoro delle donne del passato?  Le risposte adeguate arriveranno attraverso un costante dialogo con e tra le drammaturghe insieme allo studio storico dei documenti e delle fonti.


[1] Per approfondire la storia della drammaturgia femminile cfr. http://www.teatrodelledonne.com/archivio.htm

 

[2]  http://www.dramma.it/dati/articoli/articolo61.htm

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